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Cos'è l'ascolto? Cosa si intende per ascoltare?

Con questo termine si evidenzia una parte del fenomeno del dialogo, quello in cui c'è la persona che riceve il messaggio espresso da un'altra persona che lo sta comunicando.

Uno dei problemi principali dell'ascolto è quello percettivo, cioè quando qualcuno parla con noi usa dei significati che noi non possiamo conoscere e sarebbe un errore pensare che i nostri siano quelli che sta usando anche lui o che si possano sempre dedurre dal contesto senza errori o problemi.

Questo è un problema comunicativo che viene definito come assenza di intesa, due persone che parlano senza prima accordarsi sui significati che andranno ad usare, almeno i più complessi e significativi.

In base al problema comunicativo appena descritto l'ascolto si può suddividere in due modi:

- ascolto ricettivo, detto anche solo ricettività, verrà chiarito in seguito ma evidenzia tutte quelle caratteristiche che portano a "sentirsi ascoltati" e far sentire di avere una persona di fronte che vuole realmente capire cosa stiamo dicendo;

- ascolto non ricettivo o parzialmente ricettivo, descrive una sensazione opposta a quella descritta precedentemente, quella persona che come parliamo subito salta a conclusione pensando di aver capito cosa stiamo dicendo, con presunzione, concludendo anche tutto ciò che non gli abbiamo ancora detto.

 

Nell'ascolto non ricettivo vi sono altri problemi che si mischiano con quello dell'intesa, c'è il problema del pregiudizio dove l'altro ci giudica basandosi no su chi siamo ma su cosa ricorda di noi senza pensare minimamente che possiamo essere cambiati e il problema della presunzione e del salto alla conclusione dove l'altro con poche informazioni conclude cose distorte non facendoci sentire capiti.

 

L'ascolto ricettivo si divide in sette componenti:

- la prima è quella di conservare la calma, possedere una temperanza sufficiente a resistere alle emozioni specialmente se ciò che stiamo ascoltando ci ha turbati emotivamente, senza calma si rischia di non seguire le fasi successive o di seguirle con errore, tentando di precrastinare, di presumere, di tagliarte corto finendo per fraintendere il messaggio o colmarlo con ciò che abbiamo presunto e che non rispecchia ciò che l'altro voleva dirci;

- la seconda è quella di chiedere i significati delle parole che l'altro sta usando, specialmente se sono concetti chiavi del discorso e sono elementi complessi o a rischio fraintendimento (hanno numerosi significati differenti);

- la terza è quella di chiedere all'altro per far si che ci dica tutto. Questa componente rende l'ascolto attivo. Non tutte le persone riescono a dire tutto, a volte per paura a volte perché alcune cose le dimenticano. Qui non si sta parlando di conoscere l'altro ma di capire ciò che ci sta dicendo nell'insieme. Il problema è che la persona potrebbe un po' per errore e un po' per inibizione dire solo parte delle cose che pensa, buttandoci fuori strada. La persona che parla non si rende conto che gli altri non sono nella sua testa e che se non dice tutto su qualcosa non potrà mai essere compresa fino in fondo. Quindi quando qualcuno ci parla di qualcosa, l'ascolto attivo vuol dire sviscerare ciò che l'altro ci sta dicendo, fare domande, scavare. Essere insistenti aiuta queste persone ad aprirsi completamente sull'argomento;

- la quarta è quella di dialogare riguardo al messaggio appena ricevuto. Non limitarsi ad ascoltare ma esprimere le proprie conclusioni, ricapitolando ciò che si è appena ascoltanto, in questo modo si ha una prima dimostrazione che si è compreso perché è l'altro stesso a dirci "si hai capito";

- la quinta è quella di non usare pregiudizi, specialmente quando chi abbiaom di fronte lo conosciamo già, le persone sono mutevoli, se conosciamo qualcuno non dobbiamo mai dare per scontato che sia uguale, quindi le cose vanno sempre ridiscusse per vedere se ciò che già sappiamo dell'altro, gusti, significati dei termini o altro che ci ha già detto sia ancora lo stesso;

- la sesta è quella di non saltare a conclusione, non essere presuntuosi ma lenti e fare delle conclusioni condivise. Cercare la razionalità massima quando processiamo ciò che l'altro ci sta dicendo, per evitare che errori logici ci buttino fuori strada.

- la settima, non manifestare mai una condotta punitiva ma anzi premiando l'altro per essersi aperto. Se l'altro si rende conto che quando si apre lo puniamo per ciò che dice è probabile che non ci dirà più nulla (consciamente e inconsciamente) o ci mentirà e di fatto noi non potremmo più capirlo.

Diventa facile così capire quanto una persona sia abile nell'ascolto ricettivo, quanti punti possiede o quante lacune ha.

 

L'ascolto ricettivo è lento, per apprezzarlo è necessario uscire fuori dalla visione agitata della vita e vedere anche questa come una parte di valore dei rapporti, delle interazioni umane, in cui ci si vive e gode anche questo frangente del pensare insieme, senza fretta, con un dialogo lento e costruttivo ma anche piacevole.

Dalla lentezza o velocità con cui una persona procede nell'ascolto si può facilmente capire che tipo di ascolto stia accadendo, se la persona va veloce, se il dialogo procede velocemente è indicatore di ascolto non ricettivo.

 

L'ascoltricettivo diventa fondamentale quando si ha di fronte una persona prevalentemente istintiva, usa le parole a sensazioni e non ha mai dato un reale e chiaro significato a ciò che dice che sia diverso da "ciò che sente". In questi casi è necessario iniziare a fare i conti con il fatto che con la persona che si ha di fronte, almeno che non scelga di cambiare, sarà difficile comunicare e dialogare efficacemente;

 

 

Il paradosso dell'ascoltatore non ricettivo e non chiedere nononstante si abbia la possibilità di fare

Questo accade perché le persone credono di aver capito, concludono, deducono, non si rendono conto dei limiti della comunicazione, del linguaggio, delle parole, fra soggettivismo, significato univoco (l'altro usa le parole allo stesso modo) e illusione di colmare ogni parte di messaggio non detta ed ecco che le persone anche quando avrebbero la possibilità di risolvere questo problema non lo fanno.

 

Cosa si prova quando si ha a che fare con una persona ricettiva? 

Nel momento in cui comunichiamo con qualcuno questo ci capirà, subito o dopo un po' non fa la differenza, ciò che conta è che la persona capirà il significato di ciò che stavamo dicendo e ci porterà ad affermare "mi ha capito, è stato ricettivo".

Quante volte si è provato una sorta di repulsione nel parlare con gli altri, consci che non avrebbero capito fraintendendo ciò che volevamo dire, questa repulsione nasce dall'esperienza, dal aver capito che di fronte abbiamo una persona che non riesce a capire cosa diciamo, chi siamo, come la pensiamo, etc...

Viceversa è probabile che si sia provata una sensazione gradevole verso quelle persone che erano in grado di capirci, con le quali è piacevole chiacchierare perché non travisano ciò che diciamo, ci capiscano o per lo meno tentano in ogni modo di farlo preferendo ammettere di non aver capito e chiedere una spiegazione aggiuntiva piuttosto che fraintendere.

 

 

FINO A QUI

 

 

Mentre il primo punto è una costante, senza di esso non può esserci alcuna ricettività, il secondo non è necessario sempre, non tutti i dialoghi hanno problematiche emotive e questo spiegherebbe perché una stessa persona alle volte sia ricettiva e alle volte no perché anche se ha imparato l'ascolto attivo potrebbe non metterlo in pratica quando il dialogo prende una piega emotiva che non riesce a gestire.

 

Questo ci fa capire che esistono tre tipologie di dialogo:

- dialogo con ricettività nulla, il soggetto non ha imparato a svolgere l'ascolto attivo;

- dialogo con ricettività parziale, il soggetto è in grado di produrre ascolto attivo ma ha problematiche emotive e quindi se si toccano alcuni tasti o se si attuano alcuni modi di fare che suscitano delle emozioni ecco che il dialogo termina o ne viene talmente influenzato da non essere comunque più utile;

- dialogo con ricettività totale, il soggetto non solo è in grado di produrre un ascolto attivo ma è anche un soggetto atarassico in grado di gestire quasiasi emozione senza lasciarsi influenzare da essa.

 

 

La ricettività all'atto pratico si traduce in calma, il soggetto regola le proprie emozioni e si prende tutto il tempo necessario per capire cosa l'altro vuole dirci, ma la calma non va intesa come "assenza di reazioni negative" la calma è intesa come quella lentezza interiore, quel prendersi tutto il tempo necessario per fare domande, per discutere, per arrivare a capirsi, acquisire i significati dell'altro, etc...

 

Tramite questa calma la persona con l'ascolto attivo costruisce quella che tecnicamente si definisce cornice di intesa, cioè tutte quelle informazioni necessarie per capire l'altro, tutto quel parlare dei termini in uso e i significati ad esso associati.

Il vantaggio della cornice è che rimane, se conosciamo cosa l'altra persona intende per amore non dovremmo chiederlo ogni volta, al limite il soggetto potrebbe aggiornarsi se su questo concetto il soggetto ha fatto dei cambiamenti di significato ma il grosso viene fatto la prima volta.

Senza calma come si fa a costruire questa cornice, il soggetto preso dalla fretta di concludere non trova il tempo e nemmeno la voglia di fare queste domande.

La cornice di intesa è smettere di pensare da soli ma pensare insieme all'altro, mettersi costantemente nei panni dell'altro e chiedersi ma cosa intende con questo, cosa voleva dirmi con questo, ora glielo chiedo.

Non solo con la calma si aiuta l'altro a tirare fuori quello che potrebbe non averci ancora detto, avere fretta spinge l'altro ad accelerare e quindi fare anche errori in tal senso non dicendoci tutto.

Questo ci porta a capire che a livello tecnico la cornice emotiva viene prima di tutto, sviluppare una calma che darà modo di lavorare sulla cornice di intesa, sul metodo per poter capire cosa l'altro vuole dirci.

Uno strumento per migliorare sulla propria cornice emotiva potrebbe essere quello dell'assertività, parlare delle proprie problematiche emotive e dire espressamente che come sta andando la comunicazione lo sta alterando e quindi di essere aiutato a rimanere lucido, cambiando i toni ad esempio.

 

Dopo la cornice emotiva e la cornice di intesa è necessario comprendere un altro conetto, quello della soglia di ricettività.

Con soglia di ricettività si intende sottolineare che anche se una persona non è totalmente ricettiva, anche se non ha costruito una cornice di intesa totale potrebbe aver lavorato abbastanza sui significati per riuscire comunque a capirsi.

Non serve sempre la ricettività totale, a volte anche se vi è un po' di presunzione, un po' di agitazione non danneggiano l'intesa se comunque si svolge un lavoro sufficientemente buono.

Questo non vuol dire che un soggetto non ricettivo può farcela, ma che un lavoro ricettivo anche se incompleto o imperfetto a volte può essere comunque sufficiente. 

Per fare un esempio, se in un discorso sono stati toccati 10 significati complessi, il soggetto anche se fa domande su 8 e poi dice "se ho capito bene tu mi stai dicendo questo" l'altro potrebbe dire "si mi hai capito", ottenendo un risultato anche se non si sono fatte domande sugli altri due significati, su tutti i significati delle parole usate.

 

 

Per avere uno schema chiaro e dettagliato sono quattro le caratteristiche della ricettività:

- intesa sui significati, la persona ricettiva chiede dei significati delle parole usate, specialmente quelle complesse e profonde, il soggetto che non fa domande pensa di poterli dedurre o semplicemente usa il suo significato illudendosi che anche l'altro usi lo stesso finendo per cadere in errore in quanto ogni persona ha i suoi significati;

- assenza di presunzione, a prescindere che ci sia stata un'intesa o meno sui significati, il soggetto non conclude senza chiedere all'altro se ciò che si è capito è valido o meno, senza coinvolgere l'altro nei propri pensieri e conclusioni riguardo al significato del messaggio. Una persona che non presume tende ad usare frasi "allora vediamo se ho capito bene, tu mi stai dicendo che..." o "quello che credo di aver capito è...";

- domande consapevoli, il soggetto sa che può esserci sempre qualcosa che manca, oltre gli errori e i messaggi ricevuti, può esserci qualcosa che non è stato ancora detto e quindi fa domande, scava, non si limita a dire "io ascolto" ma cerca anche di tirare fuori dell'altro che può esserci, non vede colui che comunica come infallibile, ma anche qualcuno che va aiutato a comunicare nella sua interezza, domande che hanno anche il duplice obiettivo di motivare l'altro a dire tutto, di far arrivare l'interesse di capire realmente tutto, di conoscere e non di vedere la comunicazione come qualcosa da fare in fretta e furia;

- emotività data dall'argomento e dal messaggio in corso, il tasto più dolente e che ci ricorda che non siamo solo esseri basati su linguaggio e razionalità, l'argomento può toccare argomenti scomodi e quindi un ascoltatore ricettivo fa di tutto per far si che le emozioni non diventino un ostacolo.

 

La ricettività massima si ha quando il soggetto presenta tutte e quattro queste caratteristiche positive, ricettività nulla quando nessuna si queste è presente, ma ci sono scenari a ricettività intermedia dove ha alcuen caratteristiche della ricettività e altre no o che a volte queste caratteristiche ci sono a volte no per diversi motivi, generando caratteristiche altalenanti. 

 

L'intesa sui significati e le domande consapevoli sono il primo scoglio da superare, specialmente per un soggetto comune che per anni ha sempre dedotto e concluso di sapere cosa l'altro intendesse, che si è illuso di avere un "potere" di dedurre o prevedere i significati degli altri o che semplicemente si è illuso che tutti usassero i suoi stessi significati.

La parte più difficile è spezzare questo automatismo, smontare questa illusione, questa scorciatoia mentale che fa sentire al soggetto di avere "la verità dei significati dell'altro" e accettare il fatto che senza sapere cosa l'altro intende su termini complessi non si comprenderà mai il messaggio, sarà sempre frainteso e accettare il fatto che anche se conosciamo i significati c'è sempre il rischio di fare errori nel comprendere il significato.

Più ci si sforza di essere ricettivi più si inverte la tendenza a concludere, passando da automatismi disfunzionali ad automatismi funzionali alla ricettività.

Lo sforzo principale è quello di addestrarsi, di prendere l'abitudine a non concludere più ma a domandare le parole e i suoi significati, il domandare se c'è dell'altro, il parlare delle proprie conclusioni senza presumere che siano vere, sono tutte cose che più si fanno e più verrà automatico fare. 

 

La recettività svolge un ruolo cruciale per la terapia, se non ci si accorda sui significati il rischio è che fraintendendosi si perda tempo e si fallisca con l'obbiettivo terapeutico.

 

Per questo l'AB ha investito significative risorse nel dizionario psicologico (ex puzzle della comunicazione) sia per creare uno standard comunicativo ma anche per velocizzare per velocizzare questo percorso di intesa e dare possibilità al paziente di avvantaggiarsi in questo percorso svolgendo del lavoro a casa.

Se un terapeuta non parla e non investe nella ricettività e non tocca l'argomento "capiamoci" questo indica che forse sarebbe meglio rivolgersi altrove alla ricerca di qualcuno che vi faccia sentire campiti e si faccia capire e che non sia solo empatico.

 

 

 

Cosa fare quando c'è una persona non ricettiva?

Di fronte a questo scenario ci sono due opzioni:

- si tenta di istruire ed educare l'altro alla ricettività e il dialogo efficace;

- si smette di dialogare con quella persona per cercare interlocutori migliori e maggiormente ricettivi. 

 

Questo ci porta al paradosso odierno sulla ricettività, dove diverse persone finiscono per chiudersi in se stesse pensando che tanto al di fuori nessuno le capirà mai, non capendo né i propri errori e né che in realtà persone ricettive esistono e si possono trovare. Questo accade specialmente in quei soggetti che di loro faticano a comunicare, non hanno una dialettica di base, cosa che peggiora ulteriormente il quadro della scarsa ricettività.

 

 

 

 Il paradosso della calma e della ricettività

Alcune persone quando sono ricettive tendono a sentirsi o apparire stupide, in quanto la società tende a premiare la velocità, tende a premiare le persone che non domandano, come se domandare e andare lento fosse sinonimo di stupidità o inferiorità. Questo è un vero e proprio paradosso ed è da ritrovarsi in una cultura malata, questi sono soggetti tossici da tenere lontano perché paradossalmente potrebbero disapprovarci, punirci o comunque danneggiare la nostra esistenza pensando che ciò che facciamo sia in qualche modo stupido e sbagliato.

  

APPUNTI:

- è possibile interevenire sulle problematiche emotive del soggetto? Si ma è talmente complicato che conviene o lasciar perdere o investire per desensibilizzare e risolvere il problema emotivo

- l'illusione che sia sufficiente la calma e l'impertubabilità per comprendersi, come se un dialogo calmo facesse automaticamente comprendere ogni cosa senza considerare il gioco fondamentale dei significati.

ultima modifica il: 28-04-2019 - 21:55:03
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