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- Autoefficacia -
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Cos'è l'autoefficacia? 

 

L'autoefficacia è l'insieme di credenze e risposte che il soggetto dà quando si domanda o gli viene domandato se possa fare qualcosa, tutte credenze che fanno parte di quello che in generale viene definito autostima.

L'autoefficacia è il termine tecnico che descrive il fenomeno della potenza e dell'impotenza, di quello che il soggetto crede di poter fare o di non poter fare.

L'autoefficacia si basa su due livelli:

- il primo livello viene definito come livello del locus o livello di agenticità, dove il soggetto di fronte alla domanda se si possa fare si interroga se su tale elemento possa esercitare o meno un potere. Questa domanda, sebbene possa sembrare scontata per alcuni, non lo è affatto perché diversi soggetti credono che su alcune cose non abbiano alcun potere in quanto dipendano dall'esterno. Un soggetto che ad esempio ritiene che il lavoro sia qualcosa che avviene solo per volontà divina, che lo si trovi per caso, non farà mai nulla per trovarlo perché crede che qualsiasi azione sia inutile. Solo quando il soggetto crede nella sua agenticità, che può essere in grado di agire per ottenere, allora ci sarà un senso di autoefficacia;

- il secondo livello, che scatta solo dopo che è stato superato il primo invece si basa sulla percezione delle proprie capacità dove il soggetto si chiede "ma io so farlo? Posso riuscirci?".

 

Questo all'atto pratico si traduce in tre possibili risposte che il soggetto si dà ogni volta:

- non si può fare, non dipende da me;

- dipende da me ma non lo so fare;

- dipende da me e lo so fare.

 

Il primo livello dell'autoefficacia si basa sulla visione che il soggetto sviluppa, quante credenze distorte possa aver accumulato sul suo potenziale come agente nel mondo. Un'educazione alla superstizione potrebbe far credere al soggetto che molte cose non dipendano da lui rendendolo di fatto impotente. 

Il secondo livello si sviluppa inveve prevalentemente in due modi:

- azioni calibrative, il soggetto agisce e in base ai risultati modella le sue credenze di autoefficacia;

- feedback esterni, l'esempio classico del genitore che ci convince che una cosa la sappiamo fare o meno ripendolo con frasi come "sei bravissimo" o "non sei buono a niente, non potrai mai farlo".

 

Il modello basato sulle azioni calibrative non è uguale, al contrario risente notevolmente della cultura in cui il soggetto cresce, perché in base a quello che il soggetto ascolterà svilupperà due modelli cognitivi differenti. Sebbene esistano diverse sfumature di modelli cognitivi questi possono essere raggruppati in due categorie:

- modello cognitivo basato sulla abilità innata, il soggetto finisce per credere che una cosa o la sai fare o non la sai fare, che ci sia una abilità prevalentemente innata dentro di noi e che noi dobbiamo scoprire se c'è o meno. Con questo modello le azioni calibrative diventano solo un metodo per scoprire se si ha o meno la capacità. Da qui nasce l'effetto Dunning-Kruger che verrà spiegato meglio nel corso dell'articolo

- modello cognitivo basato sull'acquisizione delle abilità, questo modello a differenza del precedente che viene visto come fatalista è ottimista, il soggetto sa che alla nascita non ha abilità ma le sviluppa con tempo e costanza. Qui le azioni calibratative hanno più un senso attitudinale, il soggetto si mette all'opera e poi afferma "ok io parto da questo punto" in quanto le abilità a volte possono essere recuperate da altri settori e quindi difficilmente si parte da zero.

Il primo è distorto, non esistono abilità innate ma al massimo talenti che ci dicono che a livello biologico alcune persone avranno vantaggi ad alti livelli di sviluppo delle abilità specialmente in ottica competitiva. L'unico modello cognitivo valido è quello ottimista basato sullo sviluppo delle abilità.

La cosa curiosa è che ci sono culture che spingono verso il dualismo abilità innata/inabilità innatata altre verso il modello dello sviluppo dell'abilità e lo si osserva da come mediamente le persone si rispondono alla domanda "so farlo?" "quanto sono abile in farlo?" e da come la maggior parte delle persone reagiscono dopo i primi successi/fallimenti. Questo ci fa comprendere come se non si interviene in modo specifico nella formazione di un bambino è probabile che questo sviluppi un modello cognitivo in accordo con quello più diffuso a livello culturale.

Uno degli effetti più interessanti studiati è quello denominato "Dunning–Kruger effect" il quale si basa sull'osservazione del comportamento medio che hanno le persone quando hanno un modello cognitivo basato sulla capacità/incapacità e cosa succede quando il soggetto ha i primi risultati.

Quello che si osserva è che, proprio per il modello cognitivo orientato alla abilità innata, il soggetto ai primi risultati conclude che è capace. Questo produce un picco di autoefficacia elevatissima che non corrisponde minimamente a ciò che il soggetto sa realmente fare, questo perché il modello che usa lo porta a pensare in questo modo dicotomico. Subito dopo il soggetto, se continua ad agire in quel settore, inizia a rendersi conto che in realtà non era come pensava, che non esiste il binomio capaci/incapaci ma inizia a comprendere il concetto di abilità, che alcune cose le ha iniziate a saper fare e che altre no, che c'è ancora molto percorso da fare. Qui c'è un crollo repentino dell'autoefficacia che si avvicina più a quella reale e che continuerà a salire man mano che il soggetto farà esperienza e crescerà realmente con la sua abilità.

Questo ci ricorda che in generale il soggetto non ha sempre la visione reale delle sue abilità, autoefficacia e abilità reale non sono sempre corrispondenti.

Continuando con l'articolo è necessario avere chiaro l'esistenza di queste due tipologie di pensiero e del fatto che non necessariamente queste si conservino ma possano mutare.

Un altro fenomeno interessato è quello delle "favolette" che il soggetto si racconta dopo che si è definito incapace potrebbe essere anche molto fantasiosa o semiscientifica, priva di qualsiasi dimostrazione valida ma comunque raccontarsi e darsi spiegazioni plausibili che paradossalmente hanno l'effetto di far convincere ancora più il soggetto della sua presunta assenza di abilità innata.

 

L'autoefficacia per comodità sarà definita dinamica quando basata sulle abilità, in quanto il soggetto sa che la risposta che si dà è solo provvisoria, non saper fare una cosa ora non vuol dire non saperla fare mai, viceversa l'autoefficacia basata sulle abilità innataverrà definita statica perché il soggetto tenderà, almeno che non avvenga qualcosa di eclatante che lo svegli dalle sue convinzioni, a tentare solo di scoprire se possiede tale abilità innate o meno, non riesce a vedere la prospettiva di cambiamento, la complessità di un abilità nel suo sviluppo anche se non la si possiede al momento.

Questo ci porta a descrivere cinque scenari tipici di risposta quando ad una persona chiediamo "lo sai fare?":

- autoefficacia dinamica negativa, il soggetto sa che al momento non può farlo ma che può investire su sé stesso e la realtà che lo circonda per arrivarci con tempo e con la costanza;

- autoefficacia dinamica positiva, il soggetto sa che può farlo, è conscio delle abilità che possiede, delle risorse e che quindi agendo è pronto fin da subito per pianificare l'obbiettivo;

- autoefficacia statica positiva, il soggetto si sente capace, crede di poterlo fare agendo per l'obbiettivo posto;

- autoefficacia statica neutra, il soggetto non ha credenze sul poter o non poter fare, farà dei tentativi e in base ai risultati farà deduzioni se ha o meno l'abilità innata di agire o comuqnue sentirà di poterlo o non poterlo fare;

- autoefficacia statica negativa, il soggetto per diversi motivi crede di non poterlo fare, di essere incapace e quindi non agisce.

 

L'autoefficacia non è tutto, non è detto che siccome qualcuno sa fare qualcosa allora la faccia sempre, l'azione necessita di motivazioni non solo all'inizio ma anche che reggano nel tempo se l'obbiettivo è sul lungo periodo.

L'autoefficacia è solo credenze? No l'autoefficacia può essere anche sentita, specialmente sotto il profilo statico, in cui le azioni o i feedback ricevuti producono il sentimento di "confidenza" detto anche comunemente "fiducia in se stessi".

 

 

Una persona potrebbe, dopo un'infanzia traumatica, sentirsi senza alcuna spiegazione razionale non in grado di fare qualcosa, è il suo inconscio che gli suggerisce che non può farlo, perché in esso riecheggiano tutte le parole negative proferitegli dal genitore mentre cresceva.

Questa risposta quindi non va vista sempre come una credenza ma a volte può essere anche inconscia, un sentimento completamente svincolato dal modello cognitivo o un sentimento collegato al modello cognitivo che potrebbe essere descritto come "mi sento incapace" senza che il soggetto sappia descrivere di più.

In alcuni è sufficiente una singola azione calibrativa per credersi abili (innatismo) o meno, in alcuni casi una singola azione può ricalibrare l'autoefficacia del soggetto passando da un sentirsi abili o inabili con un singolo errore/fallimento. In questo caso si parla di autoefficacia da risultato in cui un solo risultato è sufficiente a determinare un cambio, anche repentino di autoefficacia. Tutto questo come si spiega? In diversi modi:

- Il risultato è così significativo da segnare emotivamente il soggetto, che agisce per istinto e non ha un'autoefficacia pensata, altera immediatamente il sentimento di autoefficacia;

- Il risultato viene generalizzato, c'è un'amplificazione arbitraria che porta quel risultato a simboleggiare qualcosa che in realtà non c'entra nulla con pensieri come "l'ho fatto ora lo posso fare sempre" senza che questo pensiero abbia un minimo di validità.

 

L'autoefficacia da risultato esiste solo in un'autoefficacia statica, dove il soggetto crede all'innatismo delle abilità, non può accadere quando si sviluppa un modello cognitivo basato sulle abilità che porta a:

- comprensione non distorta del settore in cui si agisce, se ne comprende la complessità, le variabili in gioco, c'è un adattamento reale e profondo;

- visione d'insieme dei propri risultati, comprensione di tali risultati, si arrivano a comprendere dopo una lunga serie di esperienze cosa si può fare, con che probabilità.

Questo ci suggerisce che chi ha un'autoefficacia da risultato ha probabilmente un modello cognitivo basato sull'abilità innata.

Quardando da un punto di vista utilitaristico scopriamo che l'autoefficacia è un concetto utile che descrive cosa una persona sente o pensa quando si domanda o le viene domandato "Sai farlo? Puoi farlo?" in quanto viviamo proprio perché agiamo e non potremmo vivere se la propria autoefficacia fosse continuamente bassa o nulla portando il soggetto all'inazione.

L'autoefficacia per comodità va distinta in due modi:

- una conscia, questo riguarda ogni cosa che il soggetto crede su di sé, che tipo di credenze ha sulla sua visione come persona che agisce in quel contesto, se pensa di sapere abbastanza, di comprendere, etc...

- una inconscia, detta anche senso di autoefficacia, questo riguarda il condizionamento del passato, ogni volta che il soggetto ha ricevuto feedback dalle azioni fatte in quel contesto o da quello che le altre persone gli hanno trasmesso come feedback segnandolo e condizionandolo.

 

Prima di continuare è necessario analizzare ulteriormente queste forme perché sia conscio che inconscio hanno ulteriore tipologie.

Iniziando dal conscio scopriamo che esistono prevalentemente due tipologie di autoefficacia conscia:

- la prima è quella che si definisce dinamica o ottimistica ed è basata sull'adattamento, il soggetto crede che ogni cosa può essere imparata ed è neccesario solo tempo ed energie. In questa forma di autoefficacia anche se la persona pensa di non poterlo fare non avrà problemi comunque nel fare azioni per imparare, andando incontro ad errori e fallimenti tesi ad imparare;

- la seconda è quella che si definisce statica, il soggetto crede che l'essere umano abbia delle abilità innate, questa credenza si può sviluppare da soli o essere facilitata da altri (alcune parole spingono verso questa visione delle cose) quindi la persona nel momento in cui vede che non sa farlo conclude di non avere la capacità e di non poterlo fare.

 

Passando all'autoefficacia inconscia troviamo che questa si forma con il condizionamento, quindi le esperienze fatte, esperienze che possono essere dirette, cioè il soggetto ha agito e da tale esperienza ha avuto un condizionamento positivo o negativo, indiretto dove ad esempio è un genitore a dirti che fallirai, che non puoi, farlo, condizionando allo stesso modo di come farebbe un'esperienza negativa.

L'autoefficacia inconscia viene quindi prodotta da feedback ed esperienze che per comodità possono essere suddivise in due grandi scaglioni temporali:

- autoefficacia inconscia remota, riguarda esperienze di cui non si ha nemmeno ricordo;

- autoefficacia inconscia rievocabile, riguarda esperienze che il soggetto ha anche giudicato e compreso consciamente, esperienze che hanno avuto un potere condizionante che può essere stato arginato o facilitato dalle credenze del soggetto. Questo punto è necessario perché si ricollega con l'autoefficacia conscia, avere una visione ottimistica o una visione improntata sulla abilità innata fa un netta differenza sull'effetto condizionato di un'esperienza negativa, di un fallimento ad esempio.

 

 

Quanto detto fino ad ora ci fa comprendere come l'autoefficacia che ogni persona sviluppa sia unica, fatta di un mix di esperienze, di cosa il soggetto crede riguardo all'azione in generale, quanta crescita personale abbia avuto (comprendere il concetto di adattamento e accantonare quello di abilità innata) e ogni persona in base alla sua esperienza e alla sua personalità darà risposte differenti a questa domanda, specialmente quando cambierà il settore.

L'autoefficacia è composta di due poli, o la persona crede di poterlo fare o no, il comportamento poi sarà una manifestazione più complessa a seconda dei conflitti che possono nascere da paure, dal fatto che il soggetto comunque potrebbe conservare o meno la possibilità di rischio di fare errori, se la risposta è si posso farlo o no non posso farlo, in ogni caso comunque il comportamento non è scontato.

Le sfumature sono sul posso farlo, a seconda se il soggetto crede di farlo da subito, se sarà in grado di farlo nel futuro, etc.. se crede che potrà fallire con un'alta probiabilità, con una bassa, in ogni caso il dualismo è solo fra "posso farlo, non possofarlo" o "sento di non poterlo fare, sento di porterlo fare" a seconda se l'autoefficacia è conscia o basata sul sentimento.

Quando si analizza l'autoefficacia va compreso quindi ogni sua componente, se in quel caso ha una componente conscia e di che tipo, inconscia e di che tipo, spiegarla e comprenderla nei suoi dettagli per evidenziarne distorsioni e anche danni fatti da terzi, come ad esempio un genitore che ha ripetuto al figlio che non poteva fare alcune cose, o gli ha inculcato e rafforzato la visione sulla abilità innata.

 

Un esempio di autoefficacia la troviamo nel "Sé grandioso" un termine che proviene dal mondo della psiconalisi utile per evidenziare quel soggetto che a causa di condizionamenti da feedback indiretti durante la sua infannzia sente di poter fare tutto, di essere in grado di poter fare ogni cosa, probabilmente perché il genitore lo riempiva senza validità alcuna di complimenti. La differenza fra autoefficacia ottimista e sé grandioso è che il sé grandioso è l'illusione attuale di avere alte capacità, di poter fare tutto, mentre l'autoefficacia ottimistica è "io so fare questo, ma anche quello che ora non so fare, potrò con il tempo e la costanza imparare a farlo, mi formerò, studierò, mi darò da fare per ottenere dei risultati".

 

Un altra forma di autoefficacia la troviamo nel sentimento di inadeguatezza nell'autoefficacia si potrebbe spiegare con una serie di feedback indiretti dove il genitore ripeteva, sei stupido, sei incapace, non ce la farai mai, non puoi farlo. Anche se la persona non ha fatto esperienza ha creduto a queste frasi come se fossero reali condizionandolo e producendogli questo senso di autoefficacia negativo, il soggetto crede di non poterlo fare e si sente incapace,  pensa che non potrà cambiare questa cosa.

 

 

Il primo scoglio che si affronta quando si cresce e si comprende consciamente l'autoefficacia è il concetto di partire da zero, in quanto la persona comprende il concetto di concetto di adattamento, di abilità e di talento e sa che le abilità saranno frutto di un lungo adattamento e che il talento è solo ciò che lo avvanteggierà in termini competitivi ma per comprendere e saper fare una cosa sarà necessario farsi il culo, studiare, fare sperienza, formarsi, percorsi lunghi anche anni.

Ma a volte le persone arrivano a 30 o 40 anni se non oltre a comprendere questo punto e non è facile digerire e accettare che si è indietro.

Per la maggior parte delle persone non c'è stato un rendersi conto di quello che facevano, sono partire in questo percorso di adattamento senza accorgersene perché da piccole lo trovavano piacevole ma non perché qualcuno avesse spiegato loro che per adattarsi servivano anni.

 

Autoefficacia dinamica e la paura di mostrarsi

Uno dei più grandi nemici dell'autoefficacia dinamica è la paura di fare errori e la possibilità di fallire, in quanto alcuni soggetti potrebbero non accettare le conseguenze degli errori, come il giudizio degli altri, l'essere etichettati o scoperti. Il soggetto per questo potrebbe non iniziare mai il percorso di crescita e sviluppo delle abilità non perché pensa di non poterci riuscire, ma per non far vedere al mondo quanto sia inabile al momento. Questo fenomeno si potrebbe descrivere come avere un'autoefficacia dinamica e il potenziale di crescita ma essere inibiti.

 

  

L'impotenza appresa, si sviluppa in tre modi:

- condizionamento negativo diretto, il soggetto fa dei tentativi e dal fallimento sente di non poterlo fare

- condizionamento negativo indiretto, i genitori ripetevano che non poteva farlo, 

- autoefficacia statica e al primo fallimento il soggetto crede di non avere le capacità necessarie e lascia perdere. 

 

Autoefficacia valida e autoefficacia non valida

Quando ciò che la persona pensa di poter fare o non poter fare corrisponde alla sua reale efficacia.

 

Autoefficacia dinamica e dare una scadenza al "non posso farlo ora" rifacendo tentativi in futuro e dandosi da fare per acquisire quel controllo che al momento non si ha

 

Un esempio di autoefficacia statica

"

class="messageTitle">Sensazione di non farcela

class="messageBody">
Vi capita mai di sentire di non essere in grado di fare nulla?
Vi faccio un esempio: avete l'idea di realizzare qualcosa che potrebbe avere successo, ma non avete le abilità per farlo. Non avete il tempo per imparare, se lo aveste non ne sareste in grado, se lo foste avreste bisogno di qualcuno con certe abilità per finirlo, se lo trovaste non avreste i soldi per pagarlo, se li aveste incombereste in problemi burocratici, ecc...
Ho diverse idee, ma non ho nessun mezzo (abilità, talento, fantasia, fondi, determinazione, tempo, ecc...) per portarle avanti. Ci sono persone normalissime che con un'idea e pochi anni di lavoro hanno fatto la propria fortuna, ma io sento che non potrei mai essere uno di loro.
Ma il peggio è quando quella cosa la devo fare, lì oltre alla tristezza mi viene l'ansia.
Spero di non essere l'unico che accantona un'idea dopo l'altra."

FONDERE AUTOEFFICACIA E OTTIMISMO

Si definisce ottimistico quel pensiero che una persona sviluppa nei confronti della sua possibilità d'azione, rendendosi conto che anche se una cosa al momento non può farla, investendo tempo e risorse arriverà a farla.

L'ottimismo per comodità può essere scisso in due momenti:

- autoefficacia ottimistica, il soggetto sviluppa una visione di sé improntata all'adattamento;

- problem solving ottimistico, la stessa visione si sviluppa nei confronti dei problemi che insorgono nel raggiungere gli obbiettivi.

 

 

maturando una visione in grado di percepire le possibilità di sviluppo, di cambiamento e di apportunità riguardo agli obbiettivi che si pone.

L'ottimismo si basa sul fatto che la persona conosce e comprende il concetto di "costruire" e di progredire, acquisendo con il tempo le risorse e le abilità necessarie per fare e raggiungere quello che desidera.

Non solo l'ottimismo non sta solo nel "sapere di poter raggiungere con tempo e costanza qualsiasi obbiettivo" ma anche di riuscire a superare qualsiasi problema possa capitare, perché è altamente probabile che negli obbiettivi che ci si pone compaiano dei problemi.

Diventare ottimisti vuol dire che le uniche cose he servono per raggiungere qualcosa sono il tempo e la motivazione che produranno un'azione costante che porterà prima o poi al risultato, l'efficienza del percorso è variabile ma non pesa sul risultato finale, cambia solo il tempo e le risorse che serviranno per arrivarci e l'unico interrogativo che conviene porsi non è "posso farlo" ma nel caso "mi conviene farlo?".

Per divenire ottimisti è necessario che la persona cresca e acquisisca uno specifico tipo di personalità altrimenti non può vedere né comprendere questa prospettiva.

Alla base dell'ottimismo c'è lo sviluppo di idee, la persona non guarda più alla realtà che ha di fronte ma guarda a ciò che può diventare, ciò che può essere e dà lì iniziare un progetto che trasformi l'idea in realtà.

L'ottimismo diventa falso in due situazioni:

- limitarsi ad aspettare, pensando che le cose accadranno per magia o casualità;

- avere una visione chiusa o illudersi di sapere già tutto o avere le risorse a disposizione, l'ottimismo è un percorso in divenire fatto di errori, fallimenti, crescita, messa in discussione. 

Nel primo caso si genera una persona passiva che non otterrà nulla perché non fa nulla, nel secondo caso una persona che non otterrà nulla perché farà sempre le stesse cose pensando che quelle la porteranno prima o poi al risultato.

Sviluppare una visione improntata alle "idee" e a concentrasi su ciò che non c'è ma ci potrebbe essere è fondamentale, il fenomeno opposto viene definito "effetto desolazione", in cosa consiste questo fenomeno?

La persona si concentra sulla realtà "desolante" cioè su tutto quello che manca, su quello che non ha e questo ha un duplice effetto negativo, in primis ciò provoca emozioni negative che potrebbero dimimuire la motivazione e in secondo perde tempo a vedere ciò che non c'è invece di immaginare tutti i possibili scenari positivi che può costruire, a volte anche con poco.

Un esempio banale, pensate allo scenario per cui una persona esce "in cerca di qualcosa da fare" non trova nulla e va a casa e inizia a fare pensieri desolanti su quello che non c'è, quello che manca quando invece si poteva dare da fare per costruire scenari che avrebbero attirato gente, scenari in cui c'era qualcosa da fare, attività che avrebbero potuto intrattenerlo e fargli passare il tempo o che potranno farlo in futuro.

Questo ci fa comprendere che le persone che si focalizzano su ciò che manca e ciò che non c'è sono persone che non hanno ancora sviluppato una visione ottimistica, viceversa la persona che inizia a formulare idee, che vede quello che non c'è ma ci potrebbe essere è invece una persona che ha sviluppato una visione ottimistica.

Questo ci suggerisce che non necessariamente una persona o è ottimista o è pessimista, ci sono diverse sfumature comportamentali dove il soggetto è come in questo caso non ottimista orientato ad una visione desoltante delle cose.

L'ottimismo si potrebbe riassumere come l'acquisizione di strumenti e di formazione che danno modo al soggetto tramite la percezione della realtà di prevedere il corso degli eventi ed esser conscio del proprio ruolo come agente in grado di costruire per cambiare e fare per ottenere.

Essere realisti vuol dire acquisire una visione scientifica e rendersi conto che si può cambiare, si può crescere, si possono fare numerose cose per raggiungere i propri obbiettivi.

Da qui si deduce che l'ottimismo si può suddividere in due gruppi:

- ottimismo realistico/scientifico, il soggetto ha sviluppato una visione scientifica della realtà è sa distinguere la differenza fra ipotesi ed elementi dimostrati, rendendosi conto che ogni cosa che formula è da considerare un'ipotesi sia in negativo che in positivo. Questo da modo al soggetto di rendersi conto che ogni visione positiva di un obbiettivo non è detto che sia possibile, la logica ottimistica sta nel fatto che per quanto si possa fallire si può sempre riprovare e crescere arrivando a raggiungere il proprio obbiettivo, quindi quando una strada non porta all'obbiettivo si cambia strada e si sviluppano i requisiti necessari;

- ottimismo irrealistico/anti-scientifico, la persona si convince e si illude di ipotesi positive distorte o non dimostrate.

 

Questo punto ci fa comprendere come sia fondamentale una visione realistica della realtà in modo che il soggetto non solo possa sviluppare ipotesi ottimistiche valide ma anche eliminare tutte quelle ipotesi negative, pensando che accadranno cose negative convincendosi di cose che non esistono.

L'ottimismo si potrebbe tradurre in "proprio perché so che tutto è possibile, che quello che posso vedere sono solo ipotesi, mi limito a considerare che per quanti errori e problemi possono capitare possono comunque investire affinché nel tempo cambi queste cose, produca ciò che serve per il raggiungimento dei miei obbiettivi".

L'ottimista realistico è conscio del suo potenziale di crescita e del fatto che può investire affinché le cose nel tempo cambino e non si lascia ingannare né da ipotesi negative non confermate e nemmeno illudere da ipotesi positive non confermate.

Nell'ottimista realistica la fanno da padrona l'autoefficacia e il concetto di "tutto si può fare, tutto si può risolvere con il tempo" senza che convinzioni e previsioni distorte occupino il pensiero del soggetto portandolo a credere che "non si può fare niente".

L'ottimista è anche colui che proprio perché non sa con certezza quale scenario si ritroverà considera possibile anche che vi siano delle opportunità da sfruttare, quindi le considera e solo dopo aver fatto l'esperienza (dimostrandone o meno la presenza) procede con il suo piano.

Questo pone l'accento ancora una volta sulla visione scientifica della realtà dove il soggetto invece di usare certezze per prevedere uno scenario che è incerto, lascia che da questo mare di possibilità emerga quello che non può prevedere e che nemmeno può ipotizzare e solo dopo prosegue nel suo piano d'azione.

L'ottimista realista è colui che senza certezze si butta, sa che può farlo ma sa anche che ci saranno errori, che non tutto si può prevedere, che sarà lunga partendo inizialmente con prudenza proprio perché le prime interazioni saranno il primo contatto con la realtà e daranno i primi feedback dopo di ché inizierà con il proprio piano modificato costantemente sulla base dei feedback che arrivano.

"Tutto si può fare, senza certezze, senza illusioni darsi da fare per cambiare, non precludendosi le opportunità che arriveranno e senza illudersi di consocere lo scenario in modo certo si procede perché l'unica cosa che si sa è che crescendo e conoscendo si potrà con costanza raggiungere l'obbiettivo".

 

L'ottimismo realistico si oppone al concetto di:

- ottimismo irrealistico;

- pessismimo che è da considerarsi sempre irrealistico, chi sviluppa pensieri negativi riguardo al futuro anche in termini di possibilità è una persona che non ha compreso il concetto di autoefficacia, di crescita e di possibilità di cambiamento.

 

Ogni volta che vi ponete un obbiettivo il miglior modo per raggiungerlo è quello di essere degli ottimisti realistici, anche se si può raggiungere anche con l'ottimismo irrealistico.

"L'ottimista non è colui che guarda il bicchiere mezzo pieno, quello è il buonista, l'ottimista è colui che anche quando il bicchiere è vuoto sa che può fare qualcosa affinché si riempia di nuovo, sa che può fare per cambiare le cose e che nel caso remoto in cui quel bicchiere non si possa riempire o non sia conveniente farlo, cambia bicchiere".

 

 

L'AB inserisce l'ottimismo nella saggezza perché senza una visione ottimista la persona finisce per cadere in un vortice di inazione e di inibizione, avvolto da credenze definite pessimistiche quali "non si può fare nulla" "tanto non ci riesco" "tanto non si può cambiare" "tanto torna come prima" "io non sono capace" etc...

Ottimismo e realismo vanno considerati concettualmente come due cose separate? Si conviene, in quanto l'ottimismo pone l'accento sul fatto che il soggetto abbiamo compreso il suo ruolo come agente di cambiamento, sul fatto che può crescere come persona e acquisire strumenti di cambiamento.

L'ottimista possiede quattro caratteristiche:

- locus of control interno, cioè pensa che lui possa essere l'agente che cambia le cose e agisce per ottenere;

- autoefficacia dinamica, quando risponde alla domanda cosa posso fare sa anche che ciò che non sa fare al momento può impararlo e che nel caso fallisca può crescere fino a quando non fallirà comprendendo gli errori e le mancanze che l'hanno portato al fallimento;

- propensione al cambiamento e allo scetticismo, visione aperta della vita che dà modo alla persona di apportare i cambiamenti necessari per superare gli errori e i fallimenti e arrivare all'obbiettivo, completa il punto precedente;

- tenace ed imperterrito, il soggetto non teme il fallimento anzi lo accoglie come elemento positivo, rimane motivato ad andare avanti perché sa che questo contribuisce alla sua crescita;

 

Mentre il realismo aggiunge queste altre due caratteristiche:

- visione scientifica, il soggetto sa che quello che formula sono ipotesi e ciò che pensa non necessariamente è sempre esatto;

- consapevolezza dei propri limiti, la persona sa che lo scenario che sta prevedendo non lo conosce tutto ma ci sono cose che non può considerare e non può prevedere, ciò è fondamentale perché la persona sa in anticipo che ci saranno elementi sia positivi (opportuniutà) che negativi (ostacoli) quando inizierà ad agire, con questa consapevolezza la persona sarà maggiormente in grado di sfruttare opportunità e gestire gli ostacoli.

 

 

Questo ci dà modo di comprendere meglio il pessimismo:

- il primo è che quando manca l'autoefficacia, la persona entra in una dimensione di incapacità, il fatto che crede di non poter far alcune cose la rende inevitabilmente ottimista perché nel momento in cui si interroga "posso fare questo nel futuro" la risposta diviene automaticamente no;

- il secondo è che quando la persona non è in grado di cambiare la percezione degli eventi e della realtà, non è in grado di cambiare strategia, cambiare piano d'azione e mutare quello che è un approccio inefficace. Queste persone a causa delle loro convinzioni e della loro testardaggine finiscono inevitabilmente, dopo diversi tentativi, per concludere che non c'è modo di fare qualcosa nel loro futuro perché i loro tentativi sono falliti e non vedono altre strade, perché pensano che la loro visione sia "giusta", sia vera e non ci siano errori a riguardo;

- il terzo è il locus of control esterno, per qualche motivo si è convinta che la sua esistenza sia costruita per gran parte da eventi su cui non può esercitare controllo;

- il quarto è la previsione negativa, il soggetto crede ed è convinto che le cose vadano in quel modo lì negativo e complici i punti precedenti crede che non si possa fare niente a riguardo o che non sia conviente farlo, la persona in questo caso commette un errore di irrealismo.

 

 

L'ottimista in pratica è una persona che sa che "si può fare tutto" e si prende il tempo per colmare il fatto che su alcune cose non è ancora adattato, dopo di ché inizia a formulare numerosi piani "piano A" "piano B" fino a "piano Z" e anche oltre se necessario, ogni volta che fallisce, analizza gli errori, fa i cambiamenti e nel caso passa al piano successivo.  Cambiare piano aiuta specialmente quando non si trovano gli errori, quindi invece si starsi ad arrovellare dietro "perché il piano A non ha funzionato" si raccolgono gli errori trovati e si passa al piano B e così via fino a quando non si arriverà all'obbiettivo posto.

L'ottimismo richiede tempo, cosa che potrebbe essere inaccettabile per le persone "tutto e subito" ma non c'è altro modo, questa è la realtà in cui viviamo, una realtà che non possiamo conoscere al 100%, sul quale possiamo formulare ipotesi e che l'unica certezza, se così si può definire, è che con il tempo a furia di fari errori, tentativi ed esperienze si troverà il modo per raggiungere il proprio obbiettivo

La differenza fra speranza e ottimismo, si legga speranza per approfondire.

 

 

Ottimismo casuale

Essere ottimismi vuol dire crescere, comprende ma in alcuni casi le persone possono seguire anche una strategia casuale per trial and error. Per l'AB la scelta migliore è quella di preparsi e crescere, ma anche una strategia casuale in modo meno efficiente può portare ai suoi frutti nel tempo.

 

Ottimismo razionale

Per ottimismo razionale si intende la scelta di investire nell'ottimismo, rispondendo alla domanda "conviene investire per poter fare questa cosa? O mi conviene lasciar perdere e puntare ad altro?" questa domanda ci fa comprendere che una persona ottimista comunque se razionale non si butta in ogni cosa solo perché potrà farlo.

 

Il ruolo dell'ottimismo nella depressione, si legga depressione per approfondire.

 

L'uso errato del concetto di ottimismo come sinonimo di buonismo

Quando una persona guarda solo alle cose positive di una realtà ne guadagna in motivazione ed umore, il problema è che raramente si trovano soluzioni definitive e funzionali in una percezione distorta di comodo. Le persone erroneamente chiamano con ottimismo questa visione buonista e di comodo quando pensano che sia funzionale, si legga buonismo per approfondire.

 

Con il concetto di ottimismo la frase "avere più fiducia in sé" acquista un significato che altrimenti non avrebbe, in questo caso il termine "fiducia" si traduce semplicemente con "con tempo e costanza troverai la soluzione, tu puoi farlo come può farlo ogni altra persona".

Un'altra traduzione di questa frase avviene con il concetto di autoefficacia, anche se con un significato differente.

 

 

 

Cosa fa una persona quando si rende conto di non saper fare una cosa ma sa che può farla? Tecnicamente il soggetto si sente incapace ma al tempo stesso sa che può adattarsi, può crescere e sviluppare l'abilità mancante.

Qui alcune persone potrebbero rimanere intrappolate nel pensiero di "si ma io non so che fare" questo accade perché il soggetto potrebbe pensare in un'ottica lineare dove è come se ci fosse una strada esatta da seguire, ma non c'è, si impara qualcosa studiando, andando a tentativi, non conta da dove si inizia ciò che conta è iniziare, suddividendo questo percorso in studiare e fare.

Quindi si può comrpare un libro, fare una ricerca su internet, fare dei tentativi e così via, piano piano si costruirà una strada sempre più solida e meno casuale.

Accettare la casualità e la lentezza iniziale è fondamentale per iniziare.

ultima modifica il: 30-12-2018 - 12:40:10
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