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Cos'è la violenza?

 [da aggiungere collegamento con empatia e il paradosso della violenza

violenza per coartazione, portare l'altro a fare qualcosa che non vuole fare, soffre il doppio, per il modo usato e per quello che farà

collegare con l'articolo rispetto]

Si definisce violenta qualsiasi azione che produca dolore psicologico o fisico nel soggetto che la riceve. Non è l'azione in sé ad essere violenta, non esistono azioni violente, esistono soggetti che provocano dolore in alcune situazione e per questo giudicano ciò che ha prodotto in loro dolore come qualcosa di violento.

Perché questo è fondamentale? Perché quando noi agiamo, qualsiasi cosa faremo, se siamo esposti ad un numero elevato di persone, troveremo qualcuno che giudicherà la nostra azione violenta perché in qualche modo ha urtato la loro sensibilità.

Quando si sta per fare o dire qualcosa l'unica cosa che si può fare è chiedersi se una specifica persona, se la conosciamo, potrà vedere ciò che facciamo come violento nei suoi confronti.

Un degli errori più frequenti che si commettono nel pensare alla violenza è che questa sia sempre intenzionale e voluta ma non è così. 

Ci sono tre possibili scenari di violenza:

- il soggetto si sta comportando in modo autentico, non conosce in fondo chi ha a fianco, quindi si limita ad agire e poi scopre che ciò che ha fatto ha prodotto dolore all'altro;

- il soggetto si sta comportando in modo autentico, conosce l'altro e sa che ciò che vuole fare gli provocherà dolore, comunque sceglie di agire lo stesso sancendo l'incompatibilità del rapporto, non intende rispettare l'altro, preferisce essere se stesso e allontanare l'altro con questo suo modo di fare;

- il soggetto conoscendo cosa provoca dolore all'altro lo attua intenzionalmente, questa è probabilmente lo scenario in cui il soggetto ha intenzioni violente perché ad esempio intende vendicarsi o prova piacere nel creare dolore all'altro.

 

Nel primo scenario il soggetto non ha aveva modo di prevederlo, fa parte della vita umana, nel secondo scenario invece il soggetto aveva una scelta, se rispettare l'altro evitando di comportarsi in un modo che fa parte di lui o se invece essere se stesso, il terzo scenario descrive invece la violenza intenzionale, porsi come obiettivo il dolore dell'altro sapendo cosa lo fa soffrire.

In sintensi si può essere violenti senza volerlo e sopratutto senza accorgersene, pensare che un atto di violenza sia sempre intenzionale è un errore concettuale.

Ci sono persone che hanno una sensibilità così elevata che finiscono per percepire violenza in ogni cosa, queste persone per assurdo potrebbero invece di riconoscere la loro condizione sviluppare una visione impositoria, se la prendono con il mondo pretendendo e desiderando che tutto cambi, che tutte le persone diventino "frenate" e si comportino in modo super rispettoso.

Qui si arriva al paradosso della violenza, l'autenticità in un modo così finirebbe, se la priorità fosse "non devo far soffrire nessuno" il soggetto finirebbe per annientarsi, per non fare mai nulla se non dopo che si sia assicurato che ciò che sta per fare non provochi dolore a nessuno.

Il mondo non va così, si è se stessi e poi i rapporti si costruiscono di conseguenza, se si è compatibili si costruisce un rapporto altrimenti si va altrove.

Rispettare ogni persona è impossibile, richiederebbe uno sforzo notevole, immaginiamo di stare di fronte ad una platea, servirebbero anni prima di capire cosa si può dire o non dire affinché non si urti la sensibilità di nessuno.

Finiremo inevitabilmente per essere violenti nei confronti di qualcuno con i nostri modi di fare e di essere, l'obiettivo non è quello di rispettare il mondo ma rispettare la legge e trovare persone a cui andiamo bene così come siamo senza essere percepiti violenti, dove possiamo essere noi stessi e andare bene a chi abbiamo vicino.

 

Questo ha due ripercussioni esistenziali:

- la prima che ci ricorda di quanto sia fondamentale la compatibilità nei rapporti, trovando quelle persone che non percepiranno come violento il proprio modo di fare altrimenti l'unica alternativa è fingere e costruire delle azioni su misura del ricevente per non farlo soffrire o comunque trovare delle strategie che facciano soffrire meno persone possibile (come la strategia del politico che soppesa le frasi e le azioni pubbliche per urtare quante meno persone possibili);

- la seconda è che da qui nasce l'interrogativo del "come comportarsi quando una persona ci fa soffrire e la percepiamo violenta?".

La risposta alla seconda domanda è "qualsiasi cosa si desideri fare, fatela", se desiderare sopportare sopportate, se desiderate dirlo ditelo, l'unica cosa da tenere a mente è che qualsiasi cosa farete avrà delle conseguenze che grossomodo possono essere tradotte in un bivio in cui se lo si fa presente di fatto si sancisce l'incompatibilità se non lo si fa presente si nasconde questa incompatibilità e si aumenta la possibilità che il rapporto duri. Pensate a quanti partner, specialmente all'inizio del rapporto hanno sopportato i comportamenti dell'altro solo perché non desideravano perderlo e non sono andati via o non hanno fatto presente la situazione.

La soluzione a questa risposta non è facile, da una parte ci sono persone ipersensibili che si conoscono e sanno che in pratica soffriranno sempre e quindi forse conviene sopportare un po', specialmente all'inizio, per vedere come evolte, dall'altra ci sono persone che invece non intendono perdere tempo e puntano immediatamente a trovare persone che fin da subito c'è compatibilità.

Che differenza c'è fra violenza e disagio? Nulla, la violenza pone l'attenzione sulle azioni dell'altro il disagio pone l'accento su quello che il soggetto prova, ovvero emozioni negative.

Pagina di disambiguazione:

- sopruso, impiego arbitrario della propria autorità o di una posizione di superiorità nella gerarchia per imporre la propria volontà a danno e offesa dei diritti altrui. Il sopruso non fa uso del potere affettivo ma del potere gerarchico, facendosi scudo di questo e sfruttandolo a proprio vantaggio;

- prevaricazione. Nella prevaricazione non c'è una vittima come nel sopruso, c'è un accordo fra le parti in cui tramite un abuso di potere si arriva ad un illecito guadagno (non necessariamente monetario) a discapito della collettività e della meritocrazia.

- vessazione, ciò che prova chi è vittima di sopruso;

- abuso, Uso eccessivo, illecito o arbitrario che devia da ciò che viene sancito dalle leggi o dalle norme sociali;

 

- ingiustizia, si definisce ingiustizia qualsiasi errore avvenga a livello legislativo. Nel linguaggio comune le persone sulla base della loro conoscenza delle norme e leggi potrebbero a loro volta parlare di un'ingiustizia quando vedono che questa legge è stata violata senza che ci sia stata conseguenza per il trasgressore;

- prepotenza, Spirito di sopraffazione, sottolineato da atteggiamenti altezzosi o minacciosi.

 

- costringere, il soggetto non si limita ad imporre ma agisce facendo ricorso all'uso della forza affinché l'altro agisca secondo l'imposizione. Un esempio di sopraffazione potrebbe essere lo stupro quando la donna si rifiuta di obbedire all'imposizione impartitagli e lo stupratore usa la forza fisica per ottenerlo ugualmente. La costrizione può essere considerata psicologica? No, a livello psicologico si definiscono angherie;

- angheria, un soggetto che avendo potere contrattuale lo usa a suo vantaggio, nell'individualismo estremo. A differenza del sopruso che si basa su un ordine gerarchico e di potere differente, l'angheria si basa sul fatto che alcune persone potrebbero avere così bisogno o desiderio di qualcosa da essere disposti a tutto pur di averlo, se l'altro lo conosce e sfrutta questo fatto si definisce angheria. L'esempio più comune di angheria è quella del datore di lavoro che sapendo che l'altro non può perdere il lavoro lo sfrutta, c'è uno scambio vissuto in modo sofferto, asimettrico; 

- sopraffazione, evidenzia il fenomeno in cui due o più persone contendono per il dominio o per la gerarchia e si arriva al punto in cui uno si arrende e quindi c'è il vincente e il perdente, sopraffare evidenzia quindi tutto il percorso ponendo l'accento sulla parte finale e sul fatto che uno abbia vinto sugli altri. Questo fenomeno è evidente in natura dove ad esempio due animali lottano per l'accoppiamento e per il territorio, colui che sopraffa l'altro e vince ottiene la vittoria e il premio. Ma anche nell'ambito umano si osservano dinamiche simili anche se più complesse;

- coazione, sinonimo di costringere;

 

- imposizione, qualsiasi discorso abbia l'obbiettivo di spingere un'altra persona a fare qualcosa. L'imposizione a seconda di come viene percepita dal soggetto può evolvere in comando o ricatto;

- Esigere, l'esigenza è su base istintiva/emotiva, la persona arriva al punto per cui le emozioni è come se la giustificassero per qualcosa di cui ha ardentemente bisogno o che desidera. L'esempio lampante di esigenza è quello del bambino che strilla che desidera un oggetto, o della persona che in preda ad un acceso risentimento esige che l'altro smetta di fare quella cosa e che non la faccia più. L'esigenza è il comportamento di chi, nel pensare prevalentemente o solo a sé, tornasse in una dimensione pre responsabilità, una spontaneità in cui l'unica cosa che conta è il suo punto di vista. Una persona esigente, nel suo individualismo e nell'assenza di lucidità, agisce con l'unico obbiettivo di dare spazio alle sue emozioni lasciando perdere tutto il resto e difficilmente scenderà a compromesso.

- Pretendere, si pretende sulla base di accordi presi o presi implicitamente;

- Minaccia, una forma specifica di ricatto dove il soggetto stesso che ricatta è colui che sarà l'esecutore materiale della punizione e della sofferenza;

 

- Molestia, atto legale che si ripete nel tempo trasformando la ripetizione stessa in violenza ed illegale. Un soggetto nell'ambito della legalità può fare quello che desidera fino a quando non gli si chiede si smetterla, se la persona dopo aver chiesto di non continuare persegue allora si parla di molestia;

- Violenza, atto che produce una sofferenza diretta. Non conta che sia intenzionale o meno, si definisce violenta qualsiasi azione produca come effetto diretto e immediato sofferenza in qualcuno, dove per diretto si intende che l'azione è "causa diretta" (quindi riconducibile immediatamente) alla sofferenza del soggetto. Un esempio di violenza diretta è io esprimo il mio pensiero e qualcuno intorno a me si risente e soffre, un esempio di violenza indiretta è quello in cui un soggetto deturpa un territorio insieme ad altre persone e un giorno un'ambientalista vedendo quell'ambiente ne soffrirà ma non può sapere esattamente chi è la causa;

- soverchiare, oltrepassare che in senso figurato vuol dire superare qualcuno in una caratteristica e quindi il termine tecnico del sentirsi superiore e vincintori in una gara;

- prepotenza, evidenzia il fenomeno in cui una persona domina l'altra, questo fenomeno è soggettivo in base ai punti di vista, una persona potrebbe sentirsi dominata ma dall'esterno un osservatore potrebbe non vederci prepotenza o viceversa una persona non sentirsi dominata ma un esterno vedere il comportamento come dominante (per empatia);

- abuso, qualsiasi attività che differisca da quello che l'osservatore giudica come l'uso possibile di qualcosa, la persona fa riferimento alla sua visione normale e morale per giudicare un abuso con l'espressione "non si fa";

 

- Prevaricazione, una forma particolare di abuso riferito al fatto che il soggetto usi il potere per vantaggi personali senza che ci sia un particolare soggetto danneggiato, ma di fatto lo è l'intera collettività;

 

- Oppressione, analogo della repressione ma esercitato da persone che hanno una posizione di superiorità politica (ma anche altre forme simili) e che quindi hanno strumenti sociali a loro vantaggio, ad esempio un governo totalitaristico che tenta di opprimere delle minoranze ribelli. Il soggetto oppresso si sentirà tale perché spinto a fare qualcosa contro la sua volontà;

- vessazione, la vessazione è il sentimento provato dalle persone che subiscono soprusi e si sentono danneggiate. Ad esempio nel mobbing le persone che lo subiscono pressioni da un superiore possono sentirsi vessate dato il loro ruolo subordinato rendendo di fatto impossibile qualsiasi forma di ribellione o scontro alla pari;

- imposizione, tentativo di un esterno di spingere ad una data azione perché quello ritiene che sia giusta per noi;

 

- spronare, motivare facendo suscitare emozioni negative nel soggetto. Si sprona dandogli delle motivazione negative all'azione. Si prona per manipolazione;

- ricattare, una particolare forma di spronare dove nello spronare la persona si fa agente "se non lo fai allora io faccio questo che ti farà soffrire". Riccato implicito, ricatto dedotto, ricatto esplicito;

 

- opprimere, la persona non riesce ad essere autentica e procedere nel suo percorso di individuazione a causa di persone che remano affinché diventi qualcun altro e si comporti in uno specifico modo;

 

 

- obbligazione, l'etimologia del termine richiama la legalità ovvero il fatto che un uomo sia obbligato a non fare determinate cose altrimenti viene punito civilmente o penalmente anche se esistono obblighi che spingono a fare delle cose per non essere puniti per legge;

- manipolazione, una persona sfrutta qualsiasi cosa per portarne un'altra a fare qualcosa che è nell'interesse del manipolatore;

 

- Repressione, simile alla costrizione ma con la finalità opposta, ovvero fare in modo che un soggetto smetta di fare qualcosa, generare sofferenza per inibire la motivazione;

- impedire, generare degli impedimenti cioè tentare di disincentivare e demotivare un soggetto nel fare qualcosa rendendoglielo più difficile, fornendogli ostacoli, etc.. Ad esempio un ragazzo ha iniziato a fumare e un genitore tenta di impedirglielo non dandogli più i soldi per la paghetta. Non c'è un tentativo repressivo ma si tenta indirettamente di generare ostacoli che rendano difficoltoso il raggiungimento di quell'obbiettivo;

- risentimento, le azioni che compie un soggetto quando non accetta qualcosa e tenta di cambiare o eliminare ciò che non accetta;

- rabbia, visione condizionata nei confronti di ciò che non si accetta, nasce per condizionamento in quanto il soggetto tende a rifare gli stessi comportamenti che ha ricevuto dalle persone che ha avuto intorno a sé e che non accettavano alcune cose. La rabbia seppur basandosi su condizionamenti e quindi impulsi che fuoriescono trava la sua efficacia nella logica punitiva, cioè le persone si arrabbiano in quanto manifestare quegli impulsi sono un feedback negativo che scoraggia l'altro a continuare. La logica della rabbia la si potrebbe descrivere in questo modo "c'è qualcosa che no accetto al punto che perdo il controllo sulle mie azioni e ciò che faccio anche se non me ne rendo conto tenderà a punire il comportamento altrui, sarà un feedback negativo che scoraggerà l'altro a ripetere ciò che non si è tollerato" . La rabbia differisce dall'insofferenza in quanto quest'ultima è frutto di scelte parossistiche, cioè il soggetto fa delle scelte e delle azioni spinto dall'intolleranza, mentre la rabbia si manifesta sotto forma di impulsi quindi azioni e modi di fare con una coscienza ormai spenta;

- comandare, il fenomeno si manifesta senza attriti dato che si comandano persone che hanno riverenza, cioè riconoscono e rispettano le autorità. Il comando è quindi un qualcosa che non genera sofferenza ne attriti in quanto chi viene comandato accetta la figura gerarchica superiore di chi lo comanda o comunque la sopporta in quanto ha scelto quel posto per altri motivi. Si può comandare nel momento in cui c'è una figura obbediente alla figura di comando;

- Violenza celata, il soggetto a causa di un particolare stato di ignoranza o di "lavaggio del cervello" subisce delle azioni o un comportamento che al momento non produrrà sofferenza ma che lo farà in seguito, si pensi ad un bambino che subisce pratiche sessuali da un genitore, al momento questo bambino potrebbe non soffrirne per poi invece soffrire in età adulta rendendosi conto di cosa è stato fatto e di quale conseguenze ha generato.

 

Questa visione della violenza distrugge l'illusione assolutistica che porta le persone a considerare violenza solo quello che credono sia violenza, non si possono considerare delle azioni violente a prescindere ma solo dall'esito che hanno su chi le riceve. In questo modo si definisce violenza un'azione in base alla percezione di un soggetto e non basandosi sull'azione in sé ed è da qui che nasce anche il concetto di rispetto.

La violenza ci ricorda quanto sia difficile essere compatibili in questa realtà dove le persone non solo si risentono ma anche soffrono per un comportamento anche se non aveva quell'intenzione.

Questa visione della violenza ci ricorda quanto sia fondamentale nelle dinamiche sociali essere compatibili in modo che una persona possa esprimere se stessa senza far soffrire altre persone, se incontrate un gruppo di persone e iniziate a parlare di voi stessi vedrete che alcune di queste persone si risentiranno o soffriranno per i vostri pensieri o ciò che affermate di aver fatto anche se il vostro obbiettivo era solo quello di passare il tempo senza ferire o far soffrire qualcuno.

Evitare di essere violenti nei confronti di qualcuno è praticamente impossibile almeno che una persona non si annulli e inizi ad agire con la massima prudenza per rispettare tutti, ma questa sarebbe vita? La scelta migliora è quella di puntare a definire la compatibilità nel modo più celere possibile verso qualcuno iniziando con un crescendo e nel momento in cui ci si rende conto che l'altro soffre per il nostro modo di essere o di fare chiudere quel rapporto e andare oltre. In questo modo si riduce la violenza al minimo, pensate a quanta sofferenza e violenza gratuita ci sia in quelle persone che fingono o recitano per costruire un rapporto e poi quando scatta l'affezionamento, quando scattano sentimenti più radicati la persona fa uscire la sua reale personalità mettendo l'altro nelle condizioni di non andarse (o per lo meno non andarsene facilmente) e soffrendo per ogni cosa che non accetta o a cui è sensibile.

Per assurdo questo comportamento ovvero di tirare subito fuori il proprio pensiero e i propri modi di fare per vedere se c'è compatibilità o meno viene disapprovato e giudicato come "insensibilità", questo è uno dei vari paradossi odierni in cui invece di promuore l'insensibilità la disincentiva ottenendo l'effetto "rapporto trappola" dove un soggetto pur di non ferire gli altri annienta la sua personalità finendo però con il tempo per non farcela più e tirarla fuori quando qualche persona potrebbe già essersi avvicinata e perfino legata a quella persona che in realtà stava solo fingendo o receitando una parte per non apparire insensibile, per non far soffrire, etc..

In realtà la stessa definizione "insensibile" è errata in quanto si basa sul presupposto ingenuo che le persone che fanno soffrire è "perché non sono sensibili" come se la persona non riuscisse a spiegarsi perché alcune persone la facciano soffrire e invece di capire il relativismo umano riesce a spiegarselo solo con "non sei sensibile, quindi non puoi capire cosa voglia dire soffrire" cosa che tra l'altro non è nemmeno possibile.

Questo termine però ormai è intrato nel linguaggio comune e rimane comunque un termine utile per descrivere un fenomeno che non è negativo ma anzi positivo.

 

rendersi conto di poter generare violenza e avere un dovere nel non farlo:

"

class="messageTitle">Il senso di responsabilità nei confronti degli altri

class="messageBody">

Il pensiero mi crea preoccupazioni per il futuro; tendo a stringere pochi rapporti con le persone perchè poche me ne piacciono; non amo le relazioni disimpegnate, amorose o amichevoli che siano. Nel momento queste si creano, soprattutto allo stato embrionale quando magari l'esito è ancora del tutto sconosciuto, in me si instaura ciò che nomino nel soggetto del thread, il che mi sembra la cosa più normale del mondo. Senso di responsabilità vuol dire semplicemente evitare comportamenti che potrebbero ferire l'altra persona, anche a discapito del nostro benessere o piacere nell'immediato momento. Un pensiero proiettato in avanti, volto ad immaginare le conseguenze delle proprie azioni. Chiaramente solo quando se ne può fare a meno: impossibile evitare di ferire le persone, come quando un sentimento finisce e dall'altra parte è ancora vivo. E' successo a (quasi) tutti: abbiamo causato dolore, ne abbiamo subito, ne causeremo e ne subiremo ancora.
Per rendere più chiaro il mio ragionamento e i comportamenti ai quali mi riferisco, riporterò un paio di esempi:


Dopo un paio di mesi dalla fine della mia ultima storia importante (sulla quale scrissi un topic lunghissimo un mesetto fa), sentii fortemente la mancanza della mia ex. Ci sentimmo tramite messaggi e fu uno scambio molto dolce. Le chiesi di vederci, accettò subito; anche da parte sua carpii un senso di mancanza. Ci vedemmo il giorno dopo, fu un incontro molto emozionante, pieno di contatto e lacrime. Io manifestai l'intenzione di avere una seconda chance ma lei, con fermezza, rifiutò la proposta.
Ed è qui che mi chiedo, riguardo il senso di responsabilità: se sai che sto male per te - e lo sapeva benissimo - non ti viene in mente che vederti e subire un rifiuto, dopo baci e abbracci emotivamente sovraccaricati, potrebbe farmi stare peggio? Io al suo posto credo che avrei declinato l'invito all'origine, o al massimo avrei accettato ma imponendomi un certo distacco.


L'altro caso è recentissimo. Ho conosciuto una donna circa un mese fa. Non sapevo precisamente la sua età ma si vedeva che aveva qualche anno più di me. Io ne ho 31, dal fisico gliene avrei dati non più di 37 o 38. Quella sera si parla, ci si trova bene. Ci si rivede una seconda volta, anche qui bella chiacchierata ma nient'altro. Al terzo appuntamento, sempre in luogo neutrale, passiamo ore a parlare, poi con grazie ad un semplice pretesto saliamo a casa sua e finiamo a letto. Nel frattempo scopro che lei ha 45 anni. Non c'è l'aria di una tresca senza impegno ma qualcosa di più, da parte di entrambi e di questo sono certo. Il sesso è molto "sentito" e passionale. Fuori dal letto la sintonia c'è, la condivisione pure. Ovviamente, per questioni anagrafiche, manca la progettualità. Ma non ci bado molto, comunque con la consapevolezza che probabilmente non sarebbe stata l'ultima donna della mia vita. Ma decido di viverla per com'è al momento.
Dopo qualche giorno la trovo in preda al panico: mi dice che è difficile andare avanti, che c'è coinvolgimento ed è proprio questo il suo problema, vista la differenza d'età. Io la capisco, con grande amarezza ma la capisco. Mi chiede di vederci per parlare ma mi nego, sarebbe stato un addio doloroso ed è meglio cancellare il prima possibile il ricordo di qualcosa che stavo vivendo molto bene. Ci diciamo, anzi, scriviamo addio, senza rancore.
Passano 10 giorni, abbastanza duri per me, e succede un episodio da film romantico: lei mi scrive su Fb e io, senza aver visto il suo messaggio, le scrivo un sms 10 minuti dopo. Sincronia incredibile! Ci vediamo il giorno dopo ed è passione altissima. Volano frasi grosse da parte sua, mi fa:"Non ho mai fatto l'amore così prima d'ora..". Forse neanche io.
Tutto tornato a posto. Per 24 ore, fino a ieri, quando lei risparisce di nuovo. "Ho tanti pensieri in testa, è difficile da spiegare, dopo ti chiamo" ...e non chiama.
Tutto abbastanza chiaro, le piaccio moltissimo ma non riesce a concepire un futuro con me, quindi si chiude e fugge. Mi metto nei suoi panni e tutto, però...

..come è possibile non avere il rispetto e la considerazione dei sentimenti dell'altra persona? Nel giro di un mese questa tizia si è avvicinata ad un uomo più giovane di lei; ci siamo visti 3 volte senza toccarci, avrà avuto modo di pensare al dopo, o no?
Ok, succede di piacersi, può succedere di avere un ripensamento e chiudere. Fin qui tutto a posto.
Ma perchè tornare? Perchè evidentemente si è sicuri di farlo... e invece no! Tempo due giorni e ci si volatilizza di nuovo, senza praticamente dare più notizie.


Mi conosco abbastanza bene e sono sicuro che non mi sarei mai comportato così, al suo posto. Proprio per il senso di responsabilità che ho nei confronti delle persone a me vicine.
Se una ragazza che non mi piace fosse interessata a me, non le darei modo di credere che possa esserci qualcosa.
Se un amico avesse bisogno di me, non gli darei buca mezz'ora prima di vederlo per andare a passare la serata altrove perchè c'è di meglio da fare.
E potrei fare altri mille esempi.
Questo è un problema solo mio? Grazie a tutti per l'attenzione."

APPUNTI

violenza intenzionale e violenza non intenzionale. L'AB le mette sullo stesso piano in quanto l'unico limite è la legge, non conta se una persona lo faccia intenzionalmente o meno, non c'è un giusto o sbagliato ma solo un legale o un non legale. Questo che vuol dire? Che chi compie atti di violenza legalmente punibili rischia da un punto di vista statale e legale, mentre le altre forme di violenza hanno solo conseguenze esistenziali come qualsiasi altra azione.

L'AB considera la violenza intenzionale come qualcosa di non conveniente a prescindere, creare sofferenza nell'altro vuol dire rischiare vendette, apparire antipatico e sulla lunga questo genere di investimento non è funzionale.

La violenza non intenzionale invece è un problema di non poco conto, come si svolge questa dinamica?

L'AB comunque reputa conveniente analizzare la violenza non intenzionale da un punto di vista della coerenza in quanto per quanto una 

 

La violenza descrive quelle azioni che tendono a generare un dolore fisico o una sofferenza psicologica nel soggetto che li subisce. La legge così come l'etica tendono a punire questi comportamenti, la legge arriva anche a punire comportamenti che anche se non sono intenzionalmente violenti ma che possono provocare danni a causa dell'ignoranza e la noncuranza di chi li produce. Pensiamo ad una persona che guida a 200 kmh orari e fa un incidente non è da considerarsi violenta se voleva solo divertirsi senza ferire nessuno, ma verrà comunque punita per legge in maniera preventiva perché chi guida a quella velocità potrebbe compiere un atto di violenza distruttivo verso altre persone. Così come una persona innamorata che senza rendersene conto inizia a stalkerare e far soffrire una persona che non ricambia questi sentimenti, la persona nella sua ignoranza sta tentando in tutti i modi di non perdere qualcuno ma sta facendo soffrire quella persona in questo modo.

Perché le persone sono violente? Cosa spinge una persona a compiere azioni intenzionali che producono dolore e sofferenza? Sono cinque le cause:

- vendetta;

- dominanza;

- sadismo;

- impulsività.

 diversi comportamenti consci come vendicativi, di dominanza, rabbiosi, sadici ma anche inconsci che si manifestano sotto forma di impulso.

Esistono quindi cinque tipologie di violenze di cui tre conscie e una inconscia, ognuna di queste si può manifestare sia come violenza fisica che come violenza psicologica, quindi è necessario riuscire a distinguere la violenza premeditata e deliberata dalla violenza impulsiva.

Analizzando le motivazioni conscie alla violenza scopriamo che la vendetta si basa sulla morale della persona, la persona si vendica perché crede che sia giusto da fare e sono persone che quindi di solito sono violenti solo quando per primi pensano di aver ricevuto una violenza/danno. La vendetta può mostrare due tipologie di comportamento una a caldo dove la persona si arrabbia e punisce immediatamente l'altro influenzato dalle emozioni che prova, una a freddo dove la vendetta arriva anche dopo giorni o mesi e con l'intento di portare quella che la persona definisce come giustizia.  Mentre le altre due tipologie di violenza ci suggeriscono che la persona non si limiterà a reagire ma sarà lui in primo a ricercare tale comportamento violento per il piacere che ne ricava (comportamenti che vengono definiti psicopatici a livello psichiatrico).

La violenza inconscia si manifesta sotto forma di impulsi violenti, di solito la manifestano persone che sono cresciuti in contesti violenti e quindi ogni volta che perdono lucidità tendono a riprodurre quei comportamenti subiti e che sono rimasti impressi nella loro mente, specialmente quando provano le stesse emozioni con le quali quei comportamenti sono stati assorbiti a livello inconscio.

La violenza come forma intenzionale diventa un concetto utile a livello esistenziale per spiegare e riconoscere i comportamenti intenzionali e a saper differenziare quindi la sofferenza che una persona prova in seguito a reali atti di violenza o invece alla sua eccessiva fragilità e sensibilità o all'aver frainteso gli atti e le parole di una persona.  Questo aiuta le persoe a svegliarsi smettendo di accusare continuamente gli altri di essere violenti e "cattivi" iniziando ad analizzare le varie responsabilità in gioco. 

 

Per l'AB non conta tanto la violenza attuata ma le caratteristiche che ne sono alla base perché una persona potenziamente violenta prima o poi manifesterà tale violenza, ci sono persone che sono inibite e che quindi non manifestano questo comportamento ma ogni tanto questo verrà comunque fuori per l'effetto euforia ed è probabile che negli anni prima o poi questa persona perda tali inibizioni e inizi a manifestare in modo più disinibito la sua violenza.

A livello teorico il carcere serve per rinchiudere le persone fino a quando non saranno cambiate e perderanno quelle caratteristiche potenziali che generano violenza, ma andando a vedere queste caratteristiche si scopre che il 99% finirebbe in carcere. Il carcere in questa società è un'utopia, l'unica cosa che si può fare è incarcerare le persone potenzialmente più distruttive e liberare quelle che sviluppano un livello di inibizione simile a quello della media.

Una persona diventando conscia e consapevole della potenziale violenza che la circonda può iniziare a difendersi attivamente con strategie di prevenzione e di selezione per compatibilità andando a scavare queste caratteristiche. Ma la maggior parte delle persone non solo non fa selezione per compatibilità nemmeno si rende conto di questo potenziale e da qui che escono fuori i casi di violenza domestica, di donne che nella loro ignoranza e noncuranza sono finite per scegliersi un carnefice.

Questa violenza potenziale ci rivela una realtà assurda ovvero che intorno a noi è pieno di persone che hanno la stessa personalità di gente che è finita in galera con l'unica differenza che queste persone sono più inibite e che la casualità ha comunque fatto in modo che i loro episodi di violenza non siano stati così esplosiivi e distruttivi da portare ad un intervento di internamento.

Quante volte avrete ascoltato confessioni di persone dove asserivano "stavo per picchiarlo, ma non so cosa mi ha fermato" oppure "se potessi l'avrei ucciso, ma sono cose che non riesco a fare per sua fortuna" o ancora "a volte mi viene voglia di schiacciare le persone però poi so che non posso farlo e che mi sentire in colpa se lo facessi e non lo faccio".

appunti:

- la morale come strumento contentenitivo di una società che altrimenti si distruggerebbe a vicenda, di individui ignoranti e poco saggi.

 

http://www.stateofmind.it/2016/02/aggressione-impulsiva-premeditata/ 

 

DA RIVEDERE

A complicare ulteriormente la situazione c'è la violenza psicologica che può essere anche non intenzionale, infatti a differenza della violenza fisica che richiede delle specifiche azioni che possono essere fatte solo intenzionalmente la violenza psicologica può essere anche indiretta, ad esempio parlare con una persona iper sensibile a qualcosa senza saperlo con il risultato di farla soffrire semplicemente perché si è trattato l'argomento.

Se a questo aggiungiamo anche che ingenuamente le persone tendono a credere che la violenza a cui conviene interessarsi sia quella fisica ignorando che il fatto che la sofferenza psicologica ha lo stesso potenziale distruttivo di quello fisico, anzi mediamente forse è maggiore quella psicologica.

Per eliminare questa confusione l'AB propone di ridefinire violenta qualsiasi azione, intenzionale e non intenzionale che generi qualsiasi tipo di sofferenza nel ricevente, fisica e psicologica, diventano degli aggettivi per descrivere agilmente l'atto in sé, dato che affinché sia violenza è sufficienze che l'azione faccia soffrire colui che la riceve.

In questo modo si smaschera anche tutta quella sofferenza che apparentemente non aveva responsabili, pensate a tutte quelle persone che interagiscono senza conoscersi a sufficienza, persone con cui non si è stabilito se si è compatibili o meno; in tutti questi la persona che genera sofferenza sta commendo comunque violenza, anche se in questo specifico caso il fenomeno ha la coresponsabilità di entrambi, perché anche chi soffre è responsabile di non aver selezionato l'altro.

La violenza non intenzionale ci indica che questo genere di persone sia che ricevono questa forma di violenza sia che la compiono tendono ad interagire con altri senza attuare nessuna strategia di conoscenza reciproca ma non rileva altre caratteristiche di personalità che invece ci rilevano le forme di violenza intenzionale.

In questo caso scopriamo che la persona ha delle specifiche caratteristiche di personalità che la spingono a fare queste azioni,  caratteristiche che possono essere raggruppate in quattro gruppi:

- vendetta e punizione;

- dominanza;

- impulsività;

- sadismo.

La vendetta e la punizione si manifesta in tutte le persone che hanno ricevuto un'etica per cui se qualcuno sbaglia va punito, questo comporta che nel caso la punizione non fosse subito eseguita si trasformerà in una vendetta, a volte la persona non ha l'intenzione di far soffrire l'altro, ma essendo la punizione qualcosa che implica necessariamente sofferenza rende di fatto la punizione e la vendetta una violenza a volte intenzionale a volte non intenzionale, il tutto accade in persone che si fanno forti del loro spalleggiamento etico interiore, non è raro che queste persone si vantino delle loro gesta con le persone che hanno la loro stessa visione etica.

La dominanza si manifesta in tutte quelle persone che vedono il far soffrire gli altri come una forma di dominanza e quindi gli trasmette questo piacere da "dominatore/leader", fenomeno che si osserva in modo nitido durante l'adolescenza dove senza alcun motivo qualcuno sovrasta un altro solo per il piacere di farlo (il bullismo è un fenomeno che in parte si origina con la dominanza ma di solito ha anche altre cause), dominanza che si manifesta anche con il riaffermare il proprio dominio quando qualcun altro ci fa soffrire, vedendo il tutto come una sfida si tende a soffrire l'altro ancora di più per vincere questa gara animalesca (si soffre doppiamento per la sofferenza ricevuta e per il sentirsi dominati da questa sofferenza inflitta).

L'impulsività è una componente inconscia come la dominanza, ma mentre la precedente è su base pulsionane, qui entriamo nello specifico dell'educazione ricevuta, di impulsi violenti che la persona mette in campo per il semplice fatto che essendo stata esposta a quelle specifiche forme di violenze compiute dagli educatori intorno questi saranno assorbiti sotto forma di impulsi che la persona stessa tenderà a ripetere perché condizionata, qui assistiamo ad esempio al figlio che avrà gli stessi scatti violenti e la stessa impulsività di chi l'ha educato. Quante volte avrete ascoltato persone dire, per anni sono stato trattato male in questo modo e non mi capacito di come io possa aver fatto lo stesso con altre persone, rifare la cosa che più odio e più mi ha fatto soffrire. Ma l'impulsività non è solo fisica si manifesta anche con parole e pensieri, pensate a queste persone che da un momento all'altro scattano dicendo frasi che dopo poco a mente lucida (emotività attiva) tentano di rimangiarsi e ritrattare affermando che non erano in loro (perché erano in emotività passiva).

Il sadismo invece riguarda tutte quelle personalità che trovano piacere nel far soffrire gli altri, queste persone tendono ad attuare strategie di violenza per produrre sofferenza intorno a loro semplicemente perché stanno seguendo il loro assioma di piacere, ricercando qualcosa che da loro piacere, sarebbe necessario capire perché queste personalità sono arrivate a provare piacere per la sofferenza degli altri (queste persone comunque vengono limitate da eventuali inibizioni).

 

Questo ci porta a comprendere la necessità di astenersi dal dedurre le possibili cause della violenza di una persona, essendo queste molteplici e complicate l'unico modo per conoscerle è di fare o uno studio approfondito o di chiedere alla persona che ha fatto quel gesto di violenza, qualsiasi deduzione fatta sulla semplice osservazione è probabile che si riveli fallace.

Queste quattro cause ci spiegano la logica di qualsiasi atto di violenza, sia che siano psicologici o fisici, ma ci porta anche alla necessità di descrivere un'altra categoria, quella della premeditazione.

Un atto di violenza fatto per impulso è qualcosa che non può essere premeditato si genera al momento e passa tramite dinamiche per lo più inconscie, l'esatto opposto è invece l'atto di violenza fatto per vendetta che in pratica rispecchia la meditazione in pieno, dato che la persona prima sceglie di punire l'altro e poi agisce avendo tutto il tempo di prepararsi anche.

Dominanza e sadismo invece possono variare, la persona potrebbe agire a sensazione e quindi non essere premetidato oppure pensarci su prima di agire.

Sono quattro quindi gli aggettivi per descrivere la violenza:

- intenzionale non intenziale, sulla base della conoscenza dell'altro e quindi far soffrire sapendolo o far soffrire non sapendolo;

- psicologica, si basa sulle parole, atteggiamenti e comportamenti ma la persona non riceve alcun dolore fisico;

- fisico, l'esatto opposto della psicologica;

- premeditato e non premeditato, sulla base se la persona agisce nell'immediato da quando realizza di desiderare di far soffrire o comunque quando l'impulso si scarica oppure scegliere e prepararsi per agire in seguito.

E' curioso come la stessa legge si sia plasmata seguendo la natura umana, come se si fosse compreso che specialmente sugli impulsi accada qualcosa che in parte non riguarda l'io, non è una caso infatti che durante le condanne la pena sia maggiore quando la persona ha compiuto qualcosa di premeditato e invece sia minore quando la persona ha persone semplicemente il controllo (emotività passiva).

Scoprire le cause della violenza smonta anche diverse credenze illusorie, la più rilevante riguarda quella in cui si pensa che sia sufficiente osservare la violenza per diventare violenti a sua volta, credenza che spinge numerose persone intransigenti a fare diverse crociate contro qualsiasi cosa abbia contenuti violenti, le cose in realtà hanno una logica diversa, analizziamola.

Guardando attentamente le cause scopriamo che l'unico modo in cui una persona acquisisca caratteristiche violente dall'esterno è o tramite l'educazione che crea questa etica della vendetta o  tramite l'educazione che crea questi impulsi violenti per quanto riguarda sadismo e dominanza stiamo parlando di pulsioni che la persona ha avuto in pratica dalla nascita o quasi (al massimo si potrebbe comunque ricondurre il sadismo ad un fallimento eduicativo) questo ci fa comprendere come soltanto contesti emotivi e vicini sono in grado di condizionare una persona al contrario assistere ad una scena violenta, guardando persone violente ma che non hanno alcun legame emotivo con il diretto interessato non può produrre condizionamento e quindi non crea o alimenta caratteristiche di personalità violente, anzi come vedremo più avanti paradossalmente produce l'effetto opposto.

Ma se sadismo e dominanza sono pulsionali come si fa per eliminare o aggirarle? Ci sono due modi:

-  il primo è che la persona stessa trovi alternative più funzionali e compatibili vedendo l'umanità come qualcosa con cui collaborare senza investire in questi piaceri disfuzionali che sia per sadismo o per dominanza;

- tentando di inibirsi, sopportare e trattenersi.

Il primo punto non è facile da raggiungere, come abbiamo analizzato nell'articolo della rinuncia, per sostituire un piacere è necessario trovarne un altro che sia soddisfacente, per diverse persone è difficile trovare altri fonti di gioia diverse da quelle che ha dato loro madre natura con le pulsioni, poche persone sono in grado di maturare passioni o seguire obbiettivi costruiti con la loro esistenza.

Proprio perché non tutte le persone sono in grado di maturare questa visione, è la stessa etica che tenta di limitare questi comportamenti disapprovandoli (anche se la situazione diventa paradossale dato che le persone trovano il modo di giustificarsi facendosi tornare i conti a loro comodo puntando a quella parte di etica che invece li giustifica), la violenza quindi tende ad essere inibita all'etica stessa.

Per fare un riassunto rapido sulla logica della violenza potremmo dire che da una parte questa è insita nella nostra biologia spingendoci ad essere violenti per natura (una violenza che conveniva secoli e milleni fa, e che per questo abbiamo ereditato anche se oggi non conviene più) e dall'altra parte ci sono fallimenti educativi che costruiscono altre componenti di violenza, questa potrà essere analizzata sotto quattro categorie intenzionalità, psicologica/fisica, premeditazione.

La violenza diventa una parte così consistente in alcune personalità da creare un problema sociale ed infatti la reazione della società stessa è stata quella di limitare queste violenze, disapprovandole.

La violenza si crea non per magia, si crea quando la persona non riesce a trovare un'alternativa alle sue pulsioni violenti ma anche quando intorno a sé alcune figure trasmettono lui altre caratteristiche violente.

 

Perché i contenuti violenti prodotti da persone che non hanno legami emotivi non alimentano la violenza ma al contrario la attenuano? Prendiamo un esempio pratico, pensate ad una persona che si sfoga distruggendo una macchina o giocando ad un videogioco violento, quante volte avrete ascoltato queste persone ascoltare "mi sento meglio avevo proprio bisogno di sfogarmi", in questo caso le persone hanno scaricato la loro violenza trattenuta per inibizione e sopportazione su prodotti che non possono soffrire, nonostante questo la violenza si è scaricata anche se non ha prodotto sofferenza alle persone intorno a lei.

Ecco perché è paradossale, perché se si seguisse la credenza ingenua che tutta la violenza va condannata queste persone non avrebbero nulla su cui sfogarsi.

E' diverso invece quando le persone autorevoli e che hanno un impatto emotivo sulla persona hanno manifestazioni violente, in questo caso come abbiamo già detto oltre che continuare a trasmettere caratteristiche violenti si assiste anche ad un effetto di disinibizione, come se in quel contesto essendo la violenza ammissibile e non più disapprovabile la persona non ha più freni e può manifestare la sua violenza.

Quante volte vi capita di osservare persone cambiare comportamento ed atteggiamento nei confronti di qualcuno, passare a modi di fare più violenti? Questo accade perché è quella stessa persona che con i suoi modi di fare ha creato un effetto disinibente, questo fenomeno accade in modo frequente nelle famiglie dove il genitore è stato violento con i figli, e quindi i figli a sua volta si sentono leggittimati a non trattenersi e hanno da subito risposte tendenti alla violenza, la manifestano più liberamente cosa che non accade in quei contesti in cui si sentono invece inibiti.

 

Da una parte abbiamo un "danno" fatto nel tempo dove si va a creare questa personalità con caratteristiche violenti, questo porta alla convenienza di creare contenuti violenti neutri dove la persona possa sfogarsi, dall'altra parte scopriamo che comunque la violenza negli ambienti emotivi conviene eliminarla perché questa non solo continua a rendere sempre più violenti le persone ma crea anche un effetto di leggittimazione ad essere violenti, levando anche quei pochi freni che la persona ha a non essere violenta.

In sintesi assistere ad una violenza indiretta o parteciparvi per "gioco" come quella contenuta in videogiochi, film o altro tende ad avere un'effetto di sfogo, assistere ad una violenza invece in ambienti più vicini ed autorevoli come quello familiare o scolatisco da parte delle autorità tende ad aumentare le caratteristiche violente ed ad avere un effetti disinibitorio.

Per fare una metofara potremmo pensare alle bombe,  pensate ad un'esplosione posizionata in punti vitali che crea distruzione perché un enorme quantitativo di energia si libera in poco tempo in un punto delicato, pensate invece se quella stessa energia si fosse liberamente lentamente in un arco di tempo più lungo in un luogo dove non c'è nessuno che potrebbe rimane coinvolto anche se qualcosa non andare, in questo caso l'energia che si libera non sarebbe distruttiva e non crea alcun tipo di danno.

 

L'etica e la quotidianità non adottano scelte funzionali nel condannare sempre e comunque la violenza, credendo che quanto più questa venga bloccata quanto più sia meglio, tentando di eliminare giochi violenti, film violenti etc.. in reatà questi contenuti possono aiutare le persone a "sfogarsi", la violenza che va eliminata è quella famigliare, è necessario far rendere conto al genitore che la sua impulsività può essere trasmessa, che l'etica della vendetta non porta a nulla ma non solo va istruito il genitore su come comportarsi per far in modo che il bambino cresca senza che le pulsioni di dominanza ed un eventuale sadismo diventino un piacere su cui investire.

 

L'impulsività e il mostro dentro ognuno di noi

Alcune persone con il tempo iniziano a rendersi conto che queste impulsioni che si attivano con diversi stimoli e in uno stato di emotività passiva sono una conseguenza del condizionamento ricevuto, si rendono conto che qualcuno ha messo dentro di loro questi impulsi che quando si attivano generano violenza intorno a loro. Queste persone si rendono conto che dentro di loro è stato messo un mostro, chiamarlo mostro rende l'idea di un qualcosa che è inconscio, che non si è scelto ma che è stato messo ed esce fuori a far soffrire ogni volta che qualcuno lo risveglia, un mostro che dorme quando la coscienza è vigile, ma che fuoriesce fuori quando viene invocato e la coscienza non è lucida (emotività passiva). Per questo alcune persone si rendono conto di quanto sia conveniente rimanere in uno stato continuo di emotività attiva, per far si che il mostro resti a dormire per tutto il resto dell'esistenza di quella persona.

 

Impulsività e risentimento

Nell'articolo non è stato citato il risentimento per evitare confusione, come sappiamo è il risentimento la causa che può portare alla rabbiae nella quotidiniatà la credenza più diffusa è quella che sia la rabbia a generale violenza. In realtà la rabbia è una delle tante cose che può portare a impulsività e quindi generare una specifica forma di impulsività violenta.

Il lettore potrebbe fare fatica ad accettare questa visione perché la credenza ingenua quotidiana è che rabbia e violenza siano equivalenti, probabilmente questa equivalenza è nata dal fatto la rabbia sia il fenomeno violento più comune e frequente e a partire da questi unici dati vividi che le persone hanno a disposizione deducono che che le due cose siano la stessa (euristica e fallacia della disponibilità) anche perché così è più facile ed accettare che le persone siano violente solo per impulsività e non per far soffrire deliberatamente gli altri motivati da componenti come il sadismo o la vendetta/punizione.

In realtà l'impulsività che corrisponde in pratica alla rabbia non è l'unica componente violente esistente (si legga rabbia per approfondire l'impulsività).

 

Violenza e sfrontatezza

La sfrontatezza è un esempio di possibile violenza non intenzionale, la persona mentre è sfrontata e pensa di avere ragione in base a ciò che sente potrebbe attuare un comportamento che potrebbe far soffrire le persone intorno a lei, ma la sua intenzione originaria non è quella, ma quella di pensare di aver ragione e agire di conseguenza.

 

APPUNTI:

- "Perché torno sempre all'idea iniziale, che solo una vendetta sublime possa chiudere il cerchio?" afferma una persona che ha fatto propria l'etica che sia giusto punire e "vendicarsi".

impulsività, le impulsioni corrispondono al mostro che vive dentro di noi, la persona col tempo impara a rendersi conto che durante l'emotività passiva si trasforma, si rende conto che "non è in sé" ma è il mostro ad agire in quel momento, portando sofferenza agli altri.

Violenza come mezzo educativo, usare la violenza per condizionare e incentivare la persona ad essere motivata per dovere e per evitare la punizione.

 

ultima modifica il: 20-11-2018 - 8:40:00
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