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- Sacrificio -
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Cos'è un sacrificio? Cosa si intende per sacrifici?

Con il termine sacrificio si definisce in ambito esistenziale quell'inevestimento doloroso che una persona fa sul presente per avere qualcosa di meglio in cambio nel futuro.

Sebbene questo termine abbia origini religiose, derivando dalla parola sacro, ha assunto un significato differente probabilmente a parire da quei rituali, chiamati per l'appunto sacrifici, in cui si uccideva o si rinunciava a qualcosa che per il soggetto avesse valore nel presente, portando ad un danno e a dolore, per avere indietro vantaggi forniti dal Dio stesso, come se questo vedendo il sacrificio ricompensasse nel futuro prossimo.

Fa sacrificio ad esempio una persona che sta a dieta, rinunciando al piacere presente dato dal cibo con il piacere che avrà collegato al fisico più magro, scolpito, in salute, etc...

Fa sacrificio l'uomo che lavora tutti i giorni 12 ore al giorno per arrivare a scalare i vertici della sua azienda, provando dolore per tutte le rinuncie fatte in famiglia, con gli amici e il dolore e lo stress dato dal rimanere così tanto in azienda, etc...

 

Affinché si parli di sacrificio è necessario che ci siano due condizioni:

- il soggetto prova dolore nel presente, la scelta di investire gli procura del dolore fisico e/o psicologico;

- il soggetto da questo investimento ricaverà del piacere o crede di ricavere del piacere (non sempre l'investimento è efficace/valido).

 

Perché questa distinzione? Perché a volte chiamiamo sacrifici quelli che sacrifici non sono.

Facciamo due esempi di errori comunui:

- il primo esempio lo troviamo nel genitore che fa tante rinunce per figli, sacrifici che però non lo ripagheranno mai perché questo soggetto nella sua educazione fa solo per dovere. Non vede nessuna ricompensa, solo un "i figli si fanno e si devono fare i sacrifici per loro". Quello che la persona non sta facendo non è un sacrificio se non ha in mente una ricompensa, come a dire "un giorno loro mi staranno vicini e mi ripagheranno di tutto" o "si realizzeranno e io sarò felice perché ho contribuito";

- il secondo è che non è detto che quello che da fuori sembra un sacrificio in realtà lo sia. Riprendiamo l'esempio dell'uomo che si spacca per l'azienda. Mettiamo caso che questo soggetto quando lavora in azienda gode, più lavora più prova piacere, al di fuori non ha niente che gli piaccia così come lavorare in quell'azienda. Non ha nemmeno una famiglia. Ecco che questo soggetto stando 14 ore al giorno in azienda, scalando la sua carriera, non sta facendo nessun sacrificio perché non c'è dolore, sta solo facendo qualcosa che gli piace, un investimento privo di dolore.

 

Prima di vedere del sacrificio in qualcosa è necessario chiedersi se ci sono le basi affinché si possa definire come tale. 

Chi conosce questo questo concetto tende ad organizzare la sua esistenza in modo che ci sia meno sacrificio possibile. Immaginate un ragazzo di 16 anni a cui viene spiegato questo concetto, lo comprende e ha un'abilità previsione e organizzativa tale da iniziarsi a preparare per fare le scelte del suo futuro che siano quanto meno sacrificate possibili.

Quando ci ritroviamo di fronte a scelte difficili e diamo la colpa al destino, a Dio o quant'altro in realtà non vediamo l'ovvio, ovvero che siamo noi a non averci pensato prima, ad non esserci preparati per arrivare a quella scelta in modo differente.

Continuando l'esempio di questo ragazzo di 16 anni, che comprende quanto l'università possa essere una sceta delicata che potrebbe presentare sacrifici, gioca d'anticipo e inizia a trovare un percorso che gli piaccia, non lo porti lontano dai suoi affetti, che non lo porti a fare sacrifici di alcun tipo, sfruttando quei due anni per fare la scelta meno sacrificata possibile, cosa che non sarebbe stata possibile se ad esempio il soggetti avesse atteso la fine dell'estate del diploma per fare questa scelta.

Si può costruire un'esistenza quasi del tutto prima di sacrifici ma non è qualcosa che piove dal ciele, richiede un percorso da fare giocando d'anticipo.

 

Il concetto di sacrificio trascurabile

Fino ad ora abbiamo parlato di sacrificio inteso come qualcosa che provoca dolore. Il punto è che il dolore non va inteso necessariamente come un danno o un evento altamente negativo. Facciamo un esempio, il soggetto ha degli amici, questi amici lo fanno stare bene ma ha anche una passione, anche questa passione lo fa stare bene. Il soggetto sceglie di investire prevalentemente nella passione, di fatto rinunciando ad una serie di bei momenti che potrebbe passare con gli amici. Questo punto come lo definireste? Sacrificio o non sacrificio?

Il lettore più attento risponderebbe con "ma solo chiedendolo a lui possiamo capire se è un sacrificio, questo soggetto cosa dice? Cosa prova nel pensare che non sta con gli amici?".

La risposta è tutta qui, anche se è difficile da capire ci sono persone che di fronte a questo scenario non provano dolore perché rinunciare a qualcosa, non necessariamente produce dolore se si hanno alternative migliori o equivalenti. E anche se in alcuni casi questo soggetto potrebbe trovarsi a provare un po' di tristezza per tale scelta, come una condizione fugace e passeggera, questa andrebbe considerata come una cosa talmente piccola da essere trascurabile nell'insieme.

Per dirla in termini matematici, immaginate che questo soggetto per 1 minuto ogni anno provi un po' di tristezza al pensiero che comunque la sua passione, che gli ha dato tante gioie, abbia comunque comportato la perdita di bei ricordi con gli amici. Chi avrebbe il coraggio di dire che questo è un sacrificio? Per un minuto di tristezza l'anno? O per pensieri fugaci di qualche secondo?

Il concetto di sacrificio esiste solo quando il dolore psicologico e le emozioni negative accompagnano il soggetto per un tempo significativo, altrimenti non si parla di sacrificio.

 

Una forma di sacrificio è quella dell'abnegazione, rinunciare a qualcosa di positivo per un bene più alto. Come abbiamo già detto ad esempio un soggetto che rinuncia al cibo, per una condizione di salute futura e migliore.

 

 

Il sacrificio solitamente è possibile quando il soggetto è temperante e lungimirante, cioè ha l'abilità di resistere alla spinta emotiva del presente e al tempo stesso di prevedere il futuro e quindi progettare qualcosa che migliori la sua condizione, anche se ciò implica sacrifici (dolore) nel presente non evitabili o che non sa come evitare.

 

"Il ne vale la pena" nasce dal sacrificio, dal fatto che un soggetto metta in conto che per avere qualcosa che vuole ha di fronte un percorso non piacevole, costellato da sofferenza, quindi il "sacrificio inziale" chiamano nel detto comune come "la pena" viene analizzato per comprendere se per l'appunto il ritorno sia sufficiente, il problema è che mentre la pena è presente, reale, facilmente provabile il piacere è futuro, incerto e più una persona ha carenze e distorsioni nell'anticipazione emotiva (in questo caso del piacere futuro) quanto più è probabile che ne risulti demotivato o inibito affermando che non ne vale la pena.

 C'è un conflitto fra la sofferenza presente e il piacere futuro e non tutti sono in grado o disposti a fare questo sacrificio, specialmente se non riescono a comprendere esattamente quanto sacrificio e quanto piacere ci sarà.

 

DA RIVEDERE 

Nel linguaggio comune il termine sacrificio è diffuso anche se potrebbe produrre fraintendimenti a causa dei diversi significati attribuiti, elenchiamoli:

- sacrificio per intendere un rituale religioso al fine di ottenere un vantaggio scambiando qualcosa per cui si ha una valutazione inferiore per qualcosa che invece si valuta maggiormente;

- sacrificio per intendere il fenomeno della motivazione nonostante nel presente la persona abbia solo sofferenza e perdite ma con l'anticipazione di quello che otterrà nel futuro

- sacrificio per intendere il piacere che le persone hanno nell'affrontare e superare le difficoltà, sapendo che sono stati in grado di farlo, di superare le avversità, specialmente senza alcun aiuto attivando emozioni positive da dominanza e ricerca dell'approvazione esterna;

- sacrificio come sinonimo di sofferenza, per intendere la sofferenza che inevitabilmente capita occasionalmente o frequentemente nell'esistenza delle persone. Una sorta di autoconvincimento alla normalità che aiuta le persone a superare i momenti più duri come credenze "dai non preoccuparti, ognuno di noi fa dei sacrifici, vai avanti e non lasciarti fermare".

 

Il termine sacrificio in origine aveva un unico significato, quello religioso, usato per descrivere l'atto di perdere qualcosa a cui si teneva con il fine di ottenere qualcosa in cambio dagli dei, basandosi sulla regola/credenza per cui i dei facessero favori solo se in cambio ricevevano qualcosa, per lo più la vita di animali ma in alcuni casi anche persone.

Questo concetto di sacrificio si dal principio evidenziava questo concetto di scambio, scambio che sebbene fosse favorevole implicasse comunque una perdita e sofferenza, di rinunciare comunque a qualcosa a cui si era legati o che rappresentava delle risorse preziose.

Questo spiega probabilmente perché i significati che trovviamo oggi nel linguaggio comuni abbiano un messaggio di positività, vedendo il sacrificio comunque come qualcosa di "positivo nonostante tutto" anche se per alcune persone non è così.

Pensiamo ad una persona che sarebbe disposta a fare sacrifici per motivazione, per un futuro ma poi scopre di non essere motivata in nulla o di non essere motivata in maniera sufficiente facendo perdere di positività al concetto di sacrificio, stessa cosa si potrebbe dire a quelle persone che tentano di autoconvincersi che tutti soffrono, che tutti fanno sacrifici ma non ci riesce quando si rende conto che alcune persone di sacrifici non ne hanno fatti quasi per nulla oppure persone che non gliene frega nulla degli altri e del giudizio esterno e quindi nel fare sacrifici per sentirsi superiore o per trovare dei riconoscimenti esterni non hanno alcun interesse.

Scartando il primo significato i restanti tre significati restano attivi ed è quindi necessario rendersi conto quando si comunica con qualcuno a cosa esattamente si stia riferendo.

Se si volesse azzardare quale di questi tre significati è più diffuso probabilmente si scoprirebbe che è il terzo dove ci sono persone che trovano più gratificante ciò che hanno ottenuto con difficoltà.

Questo fenomeno che è strettamente correlato alla dominanza si spiega anche a livello educativo, persone a cui è stato fatto credere che questa componente del superare gli ostacoli e di resistere sia non solo un valore ma anche un simbolo della loro "forza" accentuando questa componente di percezione di "più mi sacrifico più sono forte e dominante, più gli altri vedranno quanto sono resistente".

Questo fenomeno del sacrificio percepito come qualcosa di positivo ha due risvolti comportamentali:

- il primo è quello di potenziare ulteriormente il concetto di orgoglio, persone che per orgoglio di fatto arrivano a fare sacrifici estremi specialmente fra quelle delle vecchie generazioni, non è difficile ascoltare fatti di cronaca dove anziani più di non farsi vedere in difficoltà o chiedere aiuto ai figli siano finiti per strada o abbiano passati giorni interi senza mangiare. Cioè l'essere portati a fare sacrifici e vederli come positivi va a potenziare il comportamento della persona orgogliosa che in pratica è doppiamente motivata a non farsi aiutare, a non chiedere aiuto;

- il secondo è quello che si definisce "sudarsi ciò che si desidera", le persone trovano piacere quando "vincono qualcosa come una sfida", quando sentono di aver ottenuto qualcosa tramite la loro dominanza, specialmente nelle persone superbe. In alcune persone questo fenomeno potrebbe essere talmente esteso da non trovare appagante ciò che non si è sudato, passando da qualcosa che rende ancora più piacevole l'obbiettivo all'essere l'unica cosa che conti per alcuni.

 

Il riconoscimento del sacrificio nell'illusione del merito

 "Se ti piace fare dei sacrifici inseguili pure ma tieniteli per te perché la realtà, intesa come nella sua logica intera e non nella regolamentazione umana, non tende a premiare chi fa sacrifici ma chi è efficace, chi è efficiente, "chi sa", si legga merito per approfondire.

 

 

Ricapitolando potremmo affermare che per alcune persone soffrire è positivo, perché c'è questa visione del sacrificio ma per altre la sofferenza è solo sofferenza, generando assurdi per cui le persone che si illudono stanno meglio di quelle che si sono svegliate in quel contesto ma poi si dimostrano non essere consapevoli o comunque non essere in grado di affrontare e superare quella sofferenza.

 

 

Appunti:

- il simbolismo del sacrificio potrebbe spiegare perché sia stato usato così massivamente nell'antichità, qualcosa che richiamasse la morte come estremo scambio per ottenere un enorme vantaggio in vita.

- un valore anticollaborativo, anti efficiente e che spinge le persone a credere che la realtà si basi sul merito del sacrificio piuttosto che sull'efficacia e saper fare le cose

ultima modifica il: 11-11-2018 - 8:04:48
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