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- Disadattamento -
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Cos'è il disadattamento? Cosa si intende per disadattato?

Si definisce disadattato un soggetto che ha fallito nel suo percorso di adattamento, sviluppando una serie di regole che lo porteranno ad agire in mod odisfunzionale e fallimentare in quello specifico settore per gli obiettivi posti. 

Nel migliore dei casi il soggetto disadattato agisce a vuoto in azioni inefficaci, nel peggiore dei casi può perfino danneggarsi.

Ad esempio è disadattato a livello sociale un soggetto che opera azioni con gli altri che lo portano ad essere deriso, allontanato, persino offeso dagli altri come reazione a cosa fa o non fa con gli altri.

Il disadattamento non va visto necessariamente come totale, il soggetto può essere comunque capace in qualcosa, qualcosa può capirlo ma comunque non sviluppa un'abilità in tale settore, manca di consapevolezza.

Si legga adattamento.

Elenco di disambiguazione nell'articolo ignoranza.

la legge di Murphy vista in ottica esistenziale. Un soggetto disadattato farà degli errori che pagherà nel tempo, questo soggetto chiamerà sfortuna quelle che sono in realtà le conseguenzed del suo disadattamento.

[riscrivere sulla base di disadattato e inadattato]

[chiarire che il disadattato ha la percezione distorta e potrebbe non accorgersi, si può essere non adattati senza essere necessariamente dei disadattati semplicemente fermandosi e rendendosi conto che c'è qualcosa da cambiare invece di continuare a preservare e ribadire la propria percezione distorta delle cose, l'esempio classico di chi ha un problema non lo risolve ed espone le sue teorie fallaci e distorte a riguardo]

 

Disadattamento e fallimento educativo, una storia che si ripete:

"Negli ultimi tempi ho realizzato molte cose. Io mi sono sempre sentita diversa e lo sono. Ma prima quasi mi vantavo di questa diversità, solo ora capisco che è un handicap sociale.

Non ho problemi fisici, handicap inteso come un difettare in mezzo agli altri.
Non sto a spiegare perché sono diversa, un passato non felice, una famiglia di persone non sane mentalmente e un ambiente chiuso di odio ecc mi hanno forgiata.

Ecco allora che mi ritrovai adulta senza aver passato le normali tappe della vita, ma queste sono cose che si ripetono spesso sul forum (partecipo poco ma leggo spesso).

Poi non so dove presi la forza a 19 anni di prendere la patente, da lì a poco iniziai a lavorare e ora sono 2 annetti che lavoro.
Ultimamente però mi è presa un ansia che non avevo mai avuto, salvo rari momenti: quella di sentirmi normale. Esatto. Come tutte le altre ragazze e ragazzi della mia età.

Invece la vita mi ha costretta a essere quella strana, timida. Purtroppo ho subito troppa negatività in casa e ora è come se ne fossi satura... E questo si nota in mezzo agli altri. Che rido e scherzo di meno, che non mi lascio andare.
A volte è come se addirittura parlassi un altra lingua, non comprendo i discorsi e il perché vengano fatti e tutte quelle dinamiche sociali per tutti scontate.
Io le sto imparando poco per volta, risultando anche ritardata, cosa che mi deprime e imbarazza molto.

Questo è frutto di anni passati chiusa in casa senza la compagnia e i divertimenti normali durante l'adolescenza.
La cosa che piu mi pesa adesso è il non avere amiche. Una compagnia anche piccola con la quale uscire.
Avevo delle amiche ma ero così depressa e repressa che tagliai i ponti, stanca di non essere me stessa.

Mi sto buttando giù, mi sento perduta. Ogni volta che provo a comunicare mi sento distantissima da chiunque, come se non ci fosse verso di trovare un punto in comune perché sono troppo strana.

Non so più nemmeno se sono sensazioni mie o se in effetti risulto davvero così strana."

 

Una lettere divenuta virale di un suicida può aiutare a comprendere il concetto di diritto:

"Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.

A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto."

 

Questa lettera parla del disadattamento, apparentemente non conscio, di un soggetto che non si è reso conto che per diverse cause non ha capito come stare al mondo. Una persona che lascia trasparire come non sapesse nemmeno conquistare e rapportarsi con il sesso opposto. Una persona che non riconosce il suo problema e si arrocca sul merito (ulteriore dimostrazione di non aver compreso il mondo), sul vedere il problema al di fuori di sé. Quello che questa persona non ha compreso è che se riceveva no come risposta è perché non era in grado di esercitare il controllo necessario per avere dal mondo ciò che si cerca, non ne aveva capito le dinamiche e il funzionamento ed è convinta (forse anche per una questione di merito) che invece questo mondo avrebbe dovuto dirle si o premiarlo numerose volte.

Il mondo ha fallito ma non come pensa colui che ha scritto la lettera, il mondo ha fallito nella formazione, ogni persona dalle più vicine alle più lontano sono coresponsabili in maniera differente nell'aver contribuito a produrre un soggetto che non sapesse stare al mondo. Il mondo va avanti a prescindere da tutto e tutti, comprenderlo vuol dire vivere e ottenere qualcosa, non comprenderlo vuol dire soffrire e vivere la situazione di questa persona e così come lui ce ne sono altri che finiscono per concludere erroneamente che il problema sia l'esterno.

 

"Stare qui non fa altro che abbassare ulteriormente la mia autostima già bassa di suo e confermare la mia incapacità di esprimermi, di socializzare e di quanto io sia privo di facoltà intellettive. Detesto la mia scrittura. Mi sento fuori luogo, banale e poco interessante. Un pesciolino invisibile. La sensazione di essere in un bar dove tutti ridono e scherzano mentre sto seduto nel posto più isolato vicino al cesso, in silenzio. Sapere poi di gente che, oltre ad essere attiva forumisticamente parlando, dunque estroversona forumisticamente parlando ha trovato pure l'amore, amici, sesso e che la domenica si ritrova a giocare ai giochi di società (quanto mi piacerebbe giocarci) non mi aiuta, poiché mi rendo conto che cose del genere a me difficilmente capiteranno. Che le dinamiche della vita reale sono molto simili a quelle del forum: solo i più spigliati, brillanti e intelligenti che sanno esprimersi hanno la possibilità di emergere, di farsi strada, ricavare amicizie virtuali (che non è poco, dimostra comunque di avere certe doti) e di divertirsi. Agli altri solo le briciole. Se non fai il primo passo, se non ti attivi, se non mantieni le conversazioni vive e interessanti, non succede nulla. In ogni categoria, gruppo e situazione di questa vita, i più deboli saranno sempre quelli più svantaggiati. Questo pensiero mi rende triste perché immodificabile, poiché fa parte della natura stessa e della vita. Siamo ciò che possiamo (forse non è poi cosi poco) e non quello che vogliamo (cit. Schopenhauer credo). Per esempio se volessi diventare uno scrittore o un filosofo, sono consapevole del fatto di non poterlo diventare. In nessun modo e in nessuna vita. Questa limitatezza e senso di definito, l'impossibilità di non poter arrivare alle cose cui si vorrebbe è dura da accettare. Sia chiara una cosa, non ce l’ho con nessuno e non è una critica verso qualcuno, anzi sono contento per quelle persone che sono riuscite e riescono a stare meglio grazie al forum (se si è coinvolti, si fa amicizia e ci si sente parte della comunità ci si affeziona, pure io mi ci sono affezionato senza nemmeno partecipare, tant’è che ne sono dipendente), in fondo è quello che desiderano tutti e le uniche cose in grado di aiutare veramente. Il mio è solo uno sfogo, un urlo silenzioso, una presa di coscienza del mio stato attuale e delle cose, di cosa sono in grado o meno di fare all'interno di un forum e nella vita. Di questo bisogno quasi esasperato di essere qualcuno in grado di riuscire in qualcosa.
"

L'errore di incapacità nel disadattamento.

 

 

Non rendersi conto della propria condotta disadattativa, il soggetto comunque continua a credere alla magrezza e quindi in momenti di stress regge meno il freno che poneva a quella condotta, un freno non pienamento razionale,

class="messageTitle">Bulimia da stress...

class="messageBody">
Ciao, secondo voi è possibile che la bulimia non derivi direttamente dalla voglia di essere "perfetta" e l'insicurezza, ma dallo stress
Da poco abito da sola, ho lasciato casa mia perché avevo una situazione per me parecchio stressante e mi ricordo che per un periodo mi abbuffavo e poi facevo ogni cosa per rimediare (vomito autoindotto, sport, digiugno... ). 
Io ci tengo ad essere in forma e anche se capisco che sto bene e in salute anche quando sono po' più in carne, ho un'idea di bellezza legata al mondo dello sport, quindi vorrei essere asciutta e tonica. 
Credevo che questi miei attacchi bulimici derivassero da questo mio bisogno di essere magra, gestito in maniera malata. E invece adesso che ho lasciato casa riesco a gestire la mia dieta in maniera molto più salutare, equilibrandola con parecchia attività fisica. Per me stare a dieta è comunque difficile, perché sono una mangiona, ma non è più così stressante come prima. Per esempio adesso ho preso qualche chilo fra festività e infortuni, ma affronto la cosa abbastanza serenamente. 
Devo dire che qualche fissa è rimasta. Ad esempio non mi piace andare a mangiare spesso fuori (soprattutto la famigerata pizza), controllo molto quello che mangio, conosco i valori nutrizionali di gran parte degli alimenti, evito l'alcol, etc. Però credo che non sia un atteggiamento così malato. 
Poi però quando ricapito a casa dei miei genitori e magari nasce un litigio, ecco che mi ritrovo a smangiucchiare ogni cosa possibile, fino a sentirmi scoppiare. Mi attacco ai biscotti come se fossero la mia salvezza. Mangio fino a farmi venire la nausea. :-S"
 
 
Disadattatamento o inadattati
"Nella questione c'entra probabilmente un trauma che ha avuto l'origine da due episodi, ma in questo trauma "gioca" molto anche il confronto con una delle mie migliori amiche,cioè sono due fatti intrecciati.
Io e lei pur avendo in comune la sensibilità e una o due passioni, siamo diametralmente opposte caratterialmente, io molto sulle mie, "delicata", amante della conoscenza e del dialogo, lei molto molto impulsiva, carnale, mi viene da dire "sbrigativa". All'occhio esterno, sopratutto maschile, questo si traduce in "difficile" vs "facile" ( occhio, non intendo solo dal punto di vista sessuale, cioè lei non è che ci va subito, ma facile proprio dal punto di vista della conoscenza, rompe immediatamente il ghiaccio, anche con battute allusive, che io davvero non capisco come faccia a essere cosi' "brillante" e sciolta già dalle prime battute ), alias ancora "visibile" vs "invisibile".
Lei è cosi' da anni, ma non è sempre stata cosi', prima eravamo uguali, poi ho notato che questa cosa è uscita in lei dopo anni di psicoterapia.
Solo ultimamente la cosa mi rende ansiosa. Primo episodio derivante un anno fa, e probabilmente ve lo ricordate perchè lo raccontai anche qui: io intreccio una conoscenza virtuale con un ragazzo che abita in un'altra provincia della mia stessa città ed emerge, come vi ho detto, il mio essere buona, delicata, quasi materna, lo ascolto o cerco di spronarlo a parlare perchè mi sono affezionata a lui, esce naturalmente anche il fatto della mia inesperienza...bla bla bla, lui nel giro di due settimane trova questa mia amica iscritta in un gruppo in comune dov'ero anche io, la aggiunge e nel giro di pochi giorni le chiede il suo numero di cellulare e iniziano a "fare carte", fino a chiederle un appuntamento, appuntamento che lei all'inizio accettò ma che poi rifiutò il giorno dopo, dopo aver visto la mia reazione legittima. Questo fu un vero e proprio trauma.
Passano i mesi, e lei prosegue nel suo comportamento ultra socievole, in pratica ha sempre un ragazzo con cui messaggiare, che la invita di qua, di là. Qui si colloca il secondo episodio che mi turba, che sebbene non la riguardi personalmente, nel senso che lei non ha contribuito a fare la gatta morta col tipo, neanche lo conosce, ma semplicemente ha scatenato ulteriori confronti in me.
Provo a fare conoscenza con un ragazzo, anche qui, io molto tranquilla, non valico mai certi limiti neanche con le parole e lui se ne accorge di questa mia legittima ritrosia, per puro caso ci becchiamo anche dal vivo in un locale e io lo saluto molto sorridente, quindi mettendo anche da parte la mia timidezza. Ma da allora la cosa si affievolisce, nel senso che non prova a conoscermi meglio, si limita ai classici auguri di buon compleanno e buon onomastico. Probabilmente il fatto scatenante della mia angoscia, nasce da una frase che mi scrisse dopo aver scritto un post ironico ( ironico, non disperato ) su facebook sul fatto che trovavo difficile trovare un ragazzo, lui mi scrisse pubblicamente "Certo, se non sei sveglia coi ragazzi, è difficile che accada!"
Là è tornato immediatamente il "fantasma" della mia amica, con la sua super personalità socievole che mi ha travolta. E non sto riuscendo a superarlo, mentre lei sempre con disinvoltura dice a me e alla nostra comune amiche che a lei sono interessati Tizio, Caio, Sempronio e io devo sempre inghiottire il boccone amaro, dovendole comunque rispondere e non fare finta di niente."

 

ultima modifica il: 19-11-2018 - 10:21:50
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