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Cos'è l'agio? Cosa vuol dire sentirsi a proprio agio in termini esistenziali?

Ogni volta che ci poniamo un obiettivo questo può essere più o meno lontano, dove per lontano si intende il percorso da fare, sottoobiettivi da raggiungere, energie da spendere, elementi da costruire prima di poter arrivare all'obiettivo.

L'agio è tutto ciò che facilita il raggiungimento di questi obiettivi, obiettivi definiti "agevoli" proprio perché sono più vicini per il soggetto in quanto può usare qualcosa che lo facilita, qualcosa che ha già fatto o che ha ereditato.

Quando si parla di "mettere a proprio agio" vuol dire dargli strumenti che lo facilitano nel raggiungimento dell'obiettivo. Nella maggior parte dei contesti sociali un soggetto ha come obiettivo quello di integrarsi, quindi se si aiuta un soggetto in tal senso lo si mette a proprio agio, da qui la locuzione usata.

Un esempio potrebbe essere quello di dirgli che non c'è nessun problema, che è ben voluto, dirgli cosa fare, spiegargli la situazione, etc... così da avvantaggiarlo nel processo di integrazione.

 

 

DA RIVEDERE 

agio, ciò che agevola il raggiungimento di un obiettivo e rende quella strada più conveniente. nascere ricchi, i soldi che agevolano qualsiasi obiettivo il soggetto voglia raggiungere.

comodo, ciò che non crea sofferenza, una cosa è comoda quanto meno crea fastidio e/o problemi nel raggiungimento di un obiettivo. Meno problemi ci sono e fonti di scomodità quanto più il percorso sarà comodo.

Sarà agevole qualsiasi elemento posseduto dal soggetto lo aiuterà e lo avvantaggerà nel raggiungere i propri obiettivi, l'agio nasce da fattori interni e già posseduti dal soggetto.

La comodità invece sull'assenza di elementi negativi, di problemi o fonte di danno.

 

 

Si definisce agio quello stato emotivo che prova un soggetto nel momento in cui si rapporta con altri e si immerge in delle situazioni che non evocano in lui sentimenti negativi significativi.

Agio letteralmente vuol dire "essere comodi" e in termini esistenziali vuol dire che la persona non ha particolari problemi nella situazione in cui si è immersa.

Essere a proprio agio sottolinea che il soggetto non provando alcuna emozione negativa non si inibisce o non ha spinte all'evitamento/allontamento e quindi tenderà ad essere se stesso sempre nei limiti soggettivi di quanto questo possa farlo sentire a proprio agio.

Per capire questo passaggio è necessario entrare nell'ottica delle sfumature di grigio dove il soggetto con un determinato comportamento si sente a proprio agio ma se iniziasse a mostrare o dire più cose di sé, se cambiasse comportamento potrebbe iniziare a sentirsi comunque a disagio.

Infatti per alcune persone questo fenomeno viene visto come una progressione, cioè in situazioni di iniziale "agio" è probabile che più passerà il tempo più riusciranno ad entrare in uno stato tale di mostrare sempre più di loro, di potersi aprire ancora di più e andare più in la con le sfumature di agio.

 

L'agio è il sentimento di chi non prova alcuna emozione negativa in un determinato scenario manifestando un comportamento tendenzialmente disinibito e libero , quindi dando spazio alla possibilità che manifesti un comportamento che rispecchi la sua personalità e i suoi desideri.

Questo concetto è utile per tre motivi:

- il primo è che quando una persona non si sente a proprio agio ma a disagio ha modo di comunicarlo in modo rapido all'esterno senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni così che l'altro capisca cosa sta succedendo e perché ovvero che la situazione le sta facendo nascere emozioni negative;

- il secondo è che si può fare un'analisi della personalità per capire quanto un soggetto tendi a sentirsi a proprio agio o a disagio, evidenziando personalità che sono così "forti" da sentirsi a proprio agio in qualsiasi situazioni mentre altre così fragili da non esserlo quasi mai;

- il terzo è che va ad ampliare il concetto di simpatia, quando un soggetto ad esempio si immerge in una situazione con interazioni con altre persone non necessariamente le emozioni negative che prova sono causate da caratteristiche e comportamenti dell'altro ma potrebbe capitare che la situazione stessa per come evolva comunque faccia nascere queste emozioni negative senza che l'altro ne sia direttamente la causa. Pensate ad una persona che si mette a parlare di rapporti passati senza sapere che chi ha di fronte non li ha avuti, unadomanda normale e senza doppi fini anche se detta nel modo più solare possibile potrebbe comunque divenire fonte di disagio.

Il concetto di agio si distingue nettamente dal concetto di quiete.

L'agio ci aiuta a capire come emozioni e sentimenti varino a seconda della situazione, mentre la quiete ci suggerisce che le persone tendono a riposarsi ed avere delle pause esistenziali che vengono interrotte da emozioni pervasive, cioè emozioni che non sono correlate allo scenario o alla realtà circostante ma che sono collegate a specifici eventi che hanno lasciato un segno ed un effetto nel soggetto.

Da una parte abbia il disagio che evidenzia lo stato emotivo di un soggetto in base alla situazione, l'inquietudine invece descrive lo stato emotivo negativo pervasivo che è scollegato dal presente e dallo scenario in cui il soggetto è immerso.

Per fare un esempio pensiamo ad una persona che ha un colloquio di lavoro, quando si presenta si rende conto che è disagio perché l'altra persona gli mette paura, oppure la struttura non è confortevole.

La stessa persona invece potrebbe presentarsi e non provare alcun disagio per la situazione ma essere comunque inquieta perché ha paura di non essere assunta, una paura che si trascina probabilmente da giorni e che avrebbe a qualsiasi colloqui si presenterà e in qualsiasi altra struttura.

Qualcuno potrebbe dire "si ma è comunque la situazione a generare inquietudine?" la risposta è no, l'utilità di questi due termini così separati sta proprio nel riuscire a capire e distinguere che un conto sono delle emozioni interne più profonde ed altre invece sono dettate solo dalla situazione in sé. Per capire questa differenza e ritornando all'esempio precedente basti pensare al fatto che qualsiasi colloquio e qualsiasi struttura quella persona andrà a visitare se ha paura di non farcela conserverà l'inquietudine a prescindere dalla situazione, così come rimarrà un'emozione negativa pervasiva in caso di fallimento, mentre con il disagio il soggetto andrà ad evidenziare che in alcune strutture si è trovato meglio di altre, in alcune lo hanno accolto in modo che non si sentisse "comodo" mentre in altre strutture no.

L'agio e il disagio sono la conseguenza della personalità e sensibilità del soggetto che muta a seconda degli scenari, dove è sufficiente che lo scenario muti per cambiare immediamente lo spettro emotivo del soggetto, spiegando chiaramente perché le persone puntino all'allontamento sapendo che in questo modo possono spegnere emozioni nate da quella situazione, mentre l'inquietudine è quello stato emotivo conseguente ad un evento e che permane a prescindere di quello che il soggetto faccia o dica, si basa sul fatto che ormai quell'emozione è dentro di sé e nasce dal pensiero e dal ricordo di un accadimento e non si è più nella dimensione di disagio ma si è in qualcosa di più radicato e che prescinde da ciò che si ha intorno.

Qual è la differenza fra mettere a disagio e intimidire? Si parla di intimidire nel momento in cui una persona intenzionalmente tenta di metterne a disagio un'altra, ad esempio tentando di incuterle paura. 

Da un punto di vista strategico si potrebbe dire che alcune persone si rendono conto di quanto sia fondamentale sentirsi a proprio agio altrimenti il rischio è quello di non poter svolgere le attività in modo efficace e normale sia da un punto di vista operativo sia da un punto di vista emotivo e di soddisfazione. La persona inizia a rendersi conto che se non si sente a proprio agio c'è il rischio che si blocchi, che non riesca a svolgere l'obbiettivo posto e anche che non riesca a trovare soddisfazione, questo spiegherebbe perché alcune persone vadano in paranoia e manifestino profili evitanti ancor prima di sapere se saranno a loro agio o meno, queste persone di solito affermano cose come "fino a quando una cosa non la faccio penso che andrà male e che non mi troverò bene, quindi una parte di me tende a non andare poi invece ci vado e scopro di stare bene ma se non mi fossi sforzata non lo avrei mai scoperto", una visione maturata da persone sensibili e che hanno sofferto mediamente più degli altri per le varie situazioni dove si sono sentite a disagio.

Lo stesso meccanismo si osserva anche per le persone che si rendono conto che alcuni eventi potrebbero segnarle e lasciarle in uno stato di inquietudine, dove la logica è simile ma le cause sono differenti.

 

L'agio e zona di comfort

Pagina di disambiguazione nell'articolo calma.

da rivedere

Nei soggetti più fragili è probabile che il soggetto attui una netta separazione fra ciò che lo mette a proprio agio e che continuerà a fare e ciò che lo mette a disagio finendo per costruire la sua esistenza solo in ciò che viene definita come la sua zona di comfort.

Questo in generale ci suggerisce che le persone che più si sentono a disagio sono quelle che per contrasto avvertono l'agio in modo netto, mentre le persone più forti e che provano raramente disagio non hanno questa percezione e fanno anche per questo fatica a mettersi nei panni delle persone più sensibili. Le persone che non hanno problemi non considerano questa evenienza e quasi non percepiscono l'agio scambiandolo per normalità e focalizzandosi sugli obbiettivi, mentre per le persone più fragili l'agio è fondamentale perché è come se si fossero rese conto che proprio perché sono problematiche e predisposte all'inibizione e la sofferenza l'unico modo che hanno per poter godersi le cose è fare in modo che prima siano a proprio agio e poi concentrarsi sugli obbiettivi.

A prescindere o meno che il soggetto finisca per rimanere rinchiuso in una zona di comfort o meno (quindi provilo ampiamente evitante) quello che traspare in chi prova disagio è che le maggiori difficoltà le si cincontrano quando si è con qualcuno perché fino a quando la persona è da sola può comunque senza enormi problemi fare delle modifiche per mettersi a proprio agio ma quando ci sono interazioni con altre persone potrebbe accadere che l'altro dica, faccia o proponga cose che ricadono in ciò che lo mette a disagio, generando perfino un'ansia anticipatoria dove il soggetto di fatto è a disagio solo perché ha paura che l'altro possa metterlo a disagio.

Come affrontare questa situazione? Questa situazione si affronta per gradi:

- nel caso il soggetto inizi a sentirsi a disagio per ansia anticipatoria l'unica cosa che può fermare questa problematica è la fiducia, il soggetto nella sua fragilità non potrà fare a meno di temere questo evento fino a quando non si fiderà dell'altro, ad esempio per un rapporti di conoscenza e potendosi convincere di cose come "chi ho di fronte mi conosce e sa cosa può fare e cosa no" smette di andare in ansia;

- il secondo fa riferimento alla persona che sta vicino a chi prova disagio dove all'atto pratico evita di mettere questa persona a disagio, qui è necessario quindi che la persona sia abile nel non fare errori o dire cose fuori luogo. e analogamente al primo punto può farlo solo se c'è conoscenza.

 

Qui si apre un dilemma sopratutto per persone esterne che si ritrovano ad interagire con persone che provano disagio in loro presenza. La soluzione definitiva sarebbe quella di aiutare il soggetto a cambiare alla radice e quindi eliminare quelle fragilità che generano disagio. Ma raramente questo è possibile e quando diviene possibile implica un percorso di cambiamento di personalità. Per questo il resto dell'articolo verterà sul come rapportarsi ad una persona che prova disagio e che per diversi motivi non può o non conviene investire per aiutarla nel percorso di cambiamento di personalità.

 

Il paradosso del "rapportami con gli altri è già al di fuori della mia zona di comfort o è già qualcosa che mi mette a disagio". Dove la troviamo questa dinamica? Questa dinamica la si trova in soggetti sociofobici che si sentono a disagio per diversi motivi a prescindere nell'interazione con un'altra persona, ma anche in altre persone che hanno delle problematiche che si presentano a prescindere  da quello che l'altro faccia o dica, ma solo perché è presente.

Come comportarsi in questa situazione? La soluzione è nel capire meglio quel "a prescindere", in realtà ogni forma di disagio ha una causa specifica e questo vale per qualsiasi forma di disagio che quindi può essere aggirata o risolta una volta individuate meglio le variabili e le cause in gioco.

Però qui arriva il difficile, il trovarle ma comunque esistono anche se non sono state trovate. Non a caso se chiedete ad un sociofobico o qualsiasi altra persona che abbia disagio sistemico nei rapporto se abbia mai esperito situazioni positive sociali questo risponderà di si affermando che in alcuni casi quasi per "magia" non si è sentito a disagio.

Questa è la dimostrazione che ogni disagio ha delle cause specifiche che possono essere sia evitate o aggirate strategicamente anche quando sembra che sia impossibile o che non ci siano.

Non c'è alcuna magia ma solo ancora una scarsa consapevolezza del soggetto (alessitimia) nei confronti del disagio e di quelle dinamiche che non ha chiare, è quindi fondamentale mettere da parte la propria presunzione e le proprie certezze e considerare la possibilità che ci siano delle cose che non sono state ancora capite o chiare ed è prioprio quando una persona riesce a capire che si va ad eliminare quel "a prescindere" e si possono instaurare rapporti dove quel disagio non accade.

Il disagio non è quindi universale nei rapporto come alcune persone potrebbero erroneamente pensare percpenmdolo come una condanna senza scampo, è possibile trovando una persona abile e che sia in grado di capire questo disagio lavorarci sopra.

In sintesi questo lavoro si basa sulla conoscenza fra le parti e l'abilità (specialmente di chi sta vicino alla persona con il disagio) di fare in modo che un'iniziale disagio che c'è "a prescindere" e fin dall'inizio venga man mano disciolto tramite un lavoro attivo che entrambe queste persone attuano teso proprio ad annullare il disagio.

Per fare questo è necessario comunicazione, pazienza e sopratutto che la persona che interagisce con questa persona fragile abbia degli strumenti per arrivare ad una soluzione efficace, portando quindi all'obbiettivo di generare un rapporto che inizialmente generava di per sé disagio ad essere qualcosa vivibile con serenità.

 

Come si lavora sul disagio? Qui la risposta è difficile perché ogni caso è storia a sé, anche se comunque il metodo generale può essere descritto in:

- fare leva sulle abilità e l'esperienza di un soggetto che ha avuto a che fare con casi di disagio simili;

- fare attenzione e analizzareinsieme  in modo più profondo e critico quelle dinamiche per capirle meglio e da un punto di vista diverso di quello che ha avuto per anni il soggetto che ha provato disagio e ha fatto un'introspezione senza l'aiuto di nessuno.

 

Questi punti insieme portano ad acquisire quella conoscenza delle variabili alla base del disagio e intervenendo si può generare un rapporto in cui il soggetto non prova disagio. Le persone vivono insieme il disagio, lo vive anche colui che non lo prova e diventa un punto di vista in più per capire la situazione. Analizzando le dinamiche che portano al disagio e anche quelle che casualmente e ancora da scoprire non lo fanno insorgere, raccogliendo elementi per avere dialogo e tramite una discussione individuare quei punti che saranno poifondamentali per risolvere il disagio almeno in quello specifico rapporto.

In pratica c'è una sorta di esperimento condiviso in cui si tenta di risolvere in due quello che la persona da sola non riusciva a risolvere e capire e dove il secondo punto di vista gioca un ruolo fondamentale sia perché è un aiuto in più, un punto di vista in più e qualcuno con cui discutere e affrontare il problema insieme ma anche perché potrebbe avere delle abilità specifiche per affrontare questa tipologia di disagi aumetnando ancora di più la probabilità di riuscita.

Questo si traduce nel fatto che anche se la persona continuasse a provare disagio a prescindere con chiunque (almeno che non incontri altre persone altrettanti abili) per delle proprie fragilità di personalità il lavoro fatto in questo rapporto farà in modo che tra il toccare determinati  tasti e il fare delle mosse strategiche che faranno venire meno il disagio in quello specifico rapporto. Qui il rischio dipendenza comunque si fa concreto, anche se ci sono possibilità che la persona incontri altre persone che abbiano l'abilità e la pazienza metterla a proprio agio il piacere che potrebbe provare questa persona potrebbe indurla a ricadere in quell'unica persona senza avere alternative e sviluppare perfino una paura di perderla. La soluzione migliore è probabilmente cambiare, specialmente per evitare questo rischio, specialmente in quelle persone che potrebbero erroneamente pensare che quella sarà l'unica persona in grado di "capirle e farle mettere a proprio agio".

ultima modifica il: 30-06-2018 - 1:08:59
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