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- Socializzazione -
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Cos'è la socializzazione? Cosa si intende per socializzare?

(la socializzazione e i precetti impliciti, quelle regole che gli altri richiedono anche se non lo dicono)

Se prendessi un bambino e lo buttassi in un gruppo di altri bambini, quello che osserverei come si chiamerebbe? La risposta è socializzazione.

Questo termine descrive contemporaneamente due fenomeni:

- adattarsi al sociale, sia da un punto di vista generale, sia da un punto di vista specifico. Il soggetto capisce come funzionano i rapporti, si adatta a stare con gli e in particolare a capire come rapportarsi in quel gruppo, estrapolando sia regole di comportamento generali che regole specifiche; 

- costruzione dei rapporti, il soggetto inizierà a farsi vedere, a capire quale di quelle persone le piace di più, a sua volta anche gli altri inizieranno a giudicarlo e nasceranno così le prime preferenze, interazioni di gruppo.

Se tutto il processo si svolge senza intoppi il bambino si integrerà e crescerà al tempo stesso in quel gruppo, viceversa potrebbe essere allontanato, il bambino potrebbe aver difficoltà a trarre informazioni utili da quell'esperienza, etc...

La domanda a questo punto è "cosa fa la discrimimante fra un bambino che svolge il percorso di socializzazione e uno che fallisce?".

La risposta la troviamo in due fattori:

- abilità di base, solitamente il bambino impara a muovere i primi come abilità sociale dentro l'ambiente famigliare e dai i primi rapporti precoci. Se il bambino viene tenuto separato dagli altri o ha modelli sociali disfunzionali potrebbe accumulare un ritardo o una distorsione che gli impedirà di socializzare, di essere abbastanza simile al livello degli altri e al modo di fare degli altri;

- assenza di traumi, se il bambino presenta inibizioni, paure, timidezza questo potrebbe portarlo a non socializzare o comunque venire escluso a causa di queste inibizioni continue.

 

Quando il percorso di socializzazione prosegue senza intoppi vedremo che il bambino progressivamente cresce sia come abilità sociale che come rete sociale:

- sviluppo delle abilità per interagire con gli altri, dette abilità di socievolezza, più la persona interagisce, osserva gli altri più si adatta, più comprende come comportarsi, come fare;

- sviluppo di rapporti e relazioni, il fatto di interagire con gli altri comunque crea qualcosa, spinge a costruire dei rapporti ed affezionarsi agli altri, crea qualcosa di più che un semplice "adattarsi a stare con gli altri".

 

Socializzare è un percorso che cambia la persona sia nel comprendere e interagire con gli altri, sia nel costruire rapporti e integrarsi.

 

Questo ci porta a definire due tipologie diverse di socializzazione:

- una detta socializzazione primaria, questa fase accade nella prima parte dell'esistenza, dove c'è una maggiore necessità di adattarsi, di sviluppare abilità sociali, di sviluppare socievolezza e i rapporti che si sviluppano sono quasi un effetto collaterale, la persona non ha ancora comprensione di cosa sta facendo, di dove andrà, delle dinamiche di gruppo;

- una detta socializzazione secondaria, qui il soggetto ha già sviluppato una socievolezza, ha abilità sufficienti per comprendere e vedere gli altri non più come qualcosa da cui imparare ma solo potenziali nuovi rapporti o gruppi a cui integrarsi.

 

Erroneamente si potrebbe pensare che tutte le persone svolgano questo percorso in modo uguale ma non è così, ci sono persone che non riescono a svolgere una scocializzazione primaria durante l'infanzia ritrovandosi a non averma mai fatta o ad averla fatta in età adulta.

 

Socializzazione primaria pone l'accento sul fatto che adattarsi e costruire i rapporti sono cose che vanno di paripasso, fase che una volta completata dà modo al soggetto di fare come vuole e limitarsi a costruire solo rapporti nella fase detta appunto "secondaria".

Bloccati alla socializzazione primaria in età adulta.

 "Sono sempre stato timidissimo, e c'è un perché. Semplicemente, non avevo la più pallida idea di come si approccia con le persone

Esempio pratico. 

Un amico mi presenta una ragazza che mi piace. Lei mi sta vicino, mi parla, mi sorride: sembra che ci stia. 

E' vero, ho paura, ma non è quella che mi blocca. 

Il problema è che non ho la più pallida idea di come si gestisce la situazione. 

E' un po' come se fossi a scuola di fronte a una verifica a sorpresa su un argomento che il professore non ha mai spiegato. 

In quei momenti mi piacerebbe avere un manuale di istruzioni a cui fare riferimento per avere almeno una roadmap che mi aiuti ad orientarmi nelle varie esperienze sociali. 

Mi piacerebbe sapere se sono l'unico a sentire questa esigenza, e se qualcun altro oltre a me sta cercando di crearsi la sua roadmap personale per sopravvivere alle relazioni sociali."

Si parla di socializzazione imperfetta quando il soggetto riceve una socializzazione dal nucleo famigliare disadattativa, cioè l'adattamento sociale sviluppato all'interno della famiglia, appreso dai genitori, una volta applicato all'esterno del nucleo famigliare si rivelerà disadattativo, creando problemi e intoppi nella socializzazione primaria, rallentandola o facendola fallire del tutto.

Oppure quando la socializzazione è carente perché il soggetto ha passato diverso tempo fuori dall'ambiente socializzante (distante da agenti socializzanti) o ha una percezione della realtà tale che l'agente socializzante non produca gli effetti che mediamente produce.

Socializzare senza comprendere le basi, ovvero le basi del rapporto e le basi della relazione, senza comprendere il concetto di valore, di rapporto amicale, di rapporto amoroso, di autoimmagine, di simpatia.

 

La socializzazione potrebbe produrre soggetti abili per condizionamento (istinto e inconscio) più che per comprensione reale delle regole. L'efficacia è ridotta ma potrebbe comunque essere sufficiente ad interagire con gli altri e adattarsi svolgendo 

 

"Ho 22 anni e nonostante sia di bel aspetto, gli anni di bullismo e solitudine mi hanno tolto praticamente l'intera infanzia.
Mi sento come se fossi dieci scalini indietro su tutto e tutti.
Non ho mai avuto una ragazza, neppure un bacio a stampo.
Non so fare un sacco di cose sociali che altri fanno regolarmente."

 

Indicatori per il livello di socializzazione raggiunta:

- Concetto di ruolo sociale, rendersi conto che le perosne ricercano qualcosa e se una persona viene vista i nquel ruolo aumenta la probabilità di essere contattati, se si viene visti ad esempio come una persona casinista si verrà chiamati quando c'è da fare festa, una persona non gioca un solo ruolo e alcune persone potrebbero riconoscere questa multipla sfaccettatura;

- Concetto di attore sociale

- concetto di situazione sociale

- concetto di valore dinamico, non c'è la regoletta applicabile a tutti

 

Appunti:

- disadattamento da luogo primario di socializzazione, il soggetto si adatta e socializza in un ambiente (solitamente famigliare) e questo creerà una serie di problemi nel momento in cui userà questo al di fuori;

- problema nel trovare persone di valore, affini, etc..

 

fanno comunque parte dei problemi di integrazione?

 

 

Le basi della socializzazione:

DA RISCRIVERE SULLA BASE DELL'ARTICOLO DELLA SOCIALITA

(da aggiungere il ruolo dell'educazione, collegamento con affabilità)

Nel linguaggio comune con il termine socializzazione si fa riferimento al fenomeno in cui un soggetto progressivamente si inserisce in un gruppo o forma nuove amicizie, viene usato come sinonimo di integrazione.

Il significato che possiede questo termine è diverso e spiega come la persona nel corso del tempo acquisisca una serie di procedure e di conoscenze che saranno alla base del suo adattamento sociale.

La socializzazione è ciò che porta il soggetto ad integrarsi e a non essere emarginato proprio perché avendo sviluppato un adattamento sociale saprà cosa fare, capisce la situazione, fa azioni efficaci e agli altri lo accoglieranno.  

In sintesi dalla socializzazione arriva l'adattamento sociale il quale può essere tradotto come "sapere cosa fare e cosa non fare per piacere agli altri" dove per altri si intende sia l'essere umano e le sue dinamiche di basi sia la conoscenza approfondita di determinate sottoculture e gruppi di persone.

Il termine viene usato in modo valido quando ad esempio un genitore parla a proposito del suo figlio piccolo e dice che farà in modo di portarlo a qualche parte per farlo socializzare, cioè per fargli fare esperienza, per fargli capire le dinamiche, etc..

Ma cosa succede esattamente? Ciò che succede, specialmente agli esordi della socializzazione, è che l'infante inizierà ad osservare la realtà intorno a sé e rimettere in atto per modellamento il comportamento di chi ha osservato, sia genitori che amici e poi da un'iniziale comportamento copiativo e casuale inizierà l'esperienza sia condizionata sia conscia delle dinamiche della realtà sociale. 

Le azioni della socializzazione altro non sono che tentativi errati e abbozzati, ma sono comunque fondamentali perché sono l'inizio di quello che sarà poi ciò che fa la differenza fra essere integrato o emarginato, il più grande matematico ha iniziato imparando le tabelline e facendo errori, così noi esseri umani socializziamo fin dall'inizio andando a tentativi, imitando e iniziando a imparare da queste piccole azioni dove ciò che conta è solo "agire" e non conta il come, quello verrà da sé dall'esperienza che se ne trarrà, dai feedback che si riceveranno (questo discorso è valido anche in chi inizia a socializzare da adulto, anche se qui ci sono problemi nel farlo e inibizioni varie, discorso che sarà approfondito in seguito).

Questo cosa ci fa capire? Che tenere isolato un bambino si potrebbe tradurre di fatto in una condanna sociale, dove per isolato si intende non fargli né vedere il comportamento altrui (dal quale trarrà l'ispirazione per modellamento) né fargli mettere in moto gli iniziali comportamenti. 

Nella maggior parte dei casi è sufficiente lasciarlo inserito in un contesto sociale affinché le cose "vadano da sé" nei restanti casi potrebbero esserci situazioni traumatiche che gli impediscono di mettere in atto i meccanismi di imitiazione e di andare a tentativi, cioè di interagire con gli altri bambini. Qui sarà quindi necessario intervenire tempestivamente per sbloccarlo.

Il rischio è quello che il bambino finisca per rimanere tagliato fuori e rimanere indietro e quando verrà messo in un contesto sociale non riuscire più a mettere in atto quei comportamenti sia perché non riesce più a capire e stare dietro alla complessità degli altri (che sono avanti) sia venir tagliati fuori dagli altri bambini stessi che lo vedono "scomodo" in quanto ritardatario.

Senza sprofondare in catastrofismi si potrebbe affermare maggiore è l'isolamento del bambino tenendolo lontano dall'osservazione sociale e la relativa esperienza precoce maggiore è la probabilità che ci siano problemi nella socializzazione, la soluzione migliore è fare in modo che il bambino sia fin da piccolo accostato ad altri bambini come ad esempio accade nelle scuole dell'infanzia che vanno dai 3 ai 5 anni. Per problemi nella socializzazione ci si riferisce al fatto che un bambino messo in un gruppo non riesce a socializzare, non fa tentativi, non agisce, non si butta, non capisce cosa fare con gli altri o cosa fanno gli altri. Facciamo un esempio una mamma sceglie di non mandare il bambino alla scuola dell'infanzia a sei anni lo manda direttamente in prima elementare e scopre che il figlio fa enorme fatica a integrarsi, non agisce con gli altri, non li capisce. Questo probabilmente non sarebbe successo se a tre anni l'avesse mandato nella scuola materna invece di isolarlo, specialmente se figlio unico finendo per passare tre anni solo ad osservare adulti e a non giocare molto con gli altri bambini.

Una persona viene giudicata mediamente normale in ambito sociale quando il suo percorso di socializzazione l'ha portata a sviluppare un livello di adattamento sociale medio dove la persona avrà un mix sufficiente di inferenze sociali, conoscenza delle norme, sviluppe di procedure, capire la logica della simpatia e di ciò che altri desiderano e così via. In alcuni casi l'adattamento si manifesta a livello di condizionamento, la persona sa cosa fare senza nemmeno che ne sia conscia ma agisce per lo più a istinto ed euristiche che sono state il frutto di anni di esperienza e osservazione, non è una magia genetica o biologica.

 

Nella socializzazione si manifesta anche il soggetto di rappresentazione sociale, dove le persone insieme crescendo inizieranno a conoscere e spiegarsi le cose insieme, colloborando nella costruzione di ipotesi e spiegazioni.

Per comodità conviene separare la socializzazione in due fasi:

- fase primaria che è composta per lo più di tentativi, di apprendimento e conoscenza delle basi e che dà gli strumenti minimi per poter rimanere con gli altri anche solo per condizionamento;

- fase secondaria, qui la persona inizia a capire anche consciamente cosa succede, inizia a capire la logica delle dinamiche umane, la logica di quei particolari gruppi che osserva, inizia a capire le regole e i nessi causa effetto, inizia a capire cosa sono gli altri e cosa gli va dato per rimanere con loro ed essere ricercati, etc..

 

Si parla invece di agenti di socializzazione, per definire quelle che sono state le variabili più significative nella fase di socializzazione, pensiamo al bambino che imita il padre e userà quell'imitazione nelle sue prime interazioni o anche in quelle da adulto (se tale azioni hanno dato feedback positivo tenderanno ad continuare ad essere usate) oppure pensate al genitore che durante l'adolescenza riceve dal padre dei consigli sulla socializzazione secondaria che gli saranno di aiuto, il padre ha evidentemente svolto un ruolo da agente nel percorso di socializzazione in questo caso positivo.

Una delle cose che si imparano nella socializzazione è quella del ruolo, si inizia a capire che da alcune persone è più probabile che vengano fatte alcune cose quindi si capisce a chi si può chiedere cosa e cosa attendersi da specifiche persone e figure.

 

Quando in età adulta si vede che una persona non ha compreso ad esempio perché gli altri la allontanino vuol dire che ci troviamo di fronte a qualcuno che per diversi motivi ha fallito nel percorso di socializzazione, cioè dal livello di adattamento del soggetto si può capire che c'è stato qualcosa che non va nel percorso di socializzazione.

 

La socializzazione sebbene si possa vedere come qualcosa che dura fino alla morte raggiunge un punto di svolta nel momento in cui ha prodotto un livello di adattamento funzionale al desiderio sociale del soggetto o viceversa non efficace. Ad una persona interessa che nel momento in cui desidera avere e amici abbia dentro di sé gli strumenti per farlo.

 

In linea di massima la socializzazione è un fenomeno progressivo che parte dall'infanzia.

Per capire meglio la socializzazione si legga l'articolo sulla simpatia.

 

La socializzazione come un qualcosa di scontato

Quando le persone hanno socializzato e sono considerate normali a livello di adattamento sociale potrebbe far fatica a capire perché altre persone non lo siano. Questo come si spiega? Con il fatto che la persona non ha capito quante interazioni, osservazioni, azioni e fallimenti sono dietro quello che sa fare e quello che capito e non immagina che per alcune persone questo non c'è stato o non lo riesce comunque a capire

 

Un racconto dal web:

"I ricordi di quanto succedeva sono ancora molto vivi.
Evidentemente sin dall'infanzia era chiaro quanto fossi poco propenso a socializzare.
Se gli altri bambini stavano in cortile a giocare, io me ne stavo nell'angolo a osservare, e/o fantasticare per conto mio.
Se in casa arrivavano ospiti l'opzione primaria era fuggire a rinchiudermi in camera mia (dove c'erano i miei giochi, i miei fumetti).
Per citare solo due casi.
Evidentemente ai miei genitori questo non piaceva.
Chissà se, da parte loro, c'era una genuina volontà di aiutarmi a superare questo "problema" oppure un'ostilità verso la mia diversità, la mia particolarità, chissà se il loro era solo un desiderio di ricondurmi in qualunque modo alla normalità, perché si vergognavano di me.
Fatto sta che appena ce n'era la possibilità facevano in modo di reindirizzarmi verso la normalità, verso la socializzazione.
Se venivano ospiti mi era fatto divieto di andare in camera mia, bisognava restare a "fare compagnia agli ospiti". Fosse pure gente di cui non me ne poteva importare di meno.
I miei non erano credenti, ma ogni domenica mi era imposto di andare a messa (si viveva in un paesino molto credente), come tentativo appunto di farmi socializzare cogli altri bambini, che ci andavano tutti. (btw, anche da qui deriva la mia ostilità verso la religione)
Ogni Estate iscrizione obbligatoria ai campeggi del paese, sempre per imparare a vivere in compagnia. Campeggi che ho odiato sempre con tutte le mie forze.
Questi sono solo alcuni esempî, i primi che mi vengono in mente. Ce ne sarebbero molti, molti altri.
In ogni caso i miei genitori, soprattutto mio padre, dimostravano scarsa tolleranza alla mia tendenza a isolarmi, e con tutta una serie di divieti e obblighi tracciavano un percorso che, volente o nolente, mi conducesse verso gli altri bambini.
Questi tentativi di "programmarmi" per la socialità cessarono solo quando raggiunsi l'adolescenza avanzata, ovvero quando era ormai chiaro che non c'era più nulla da fare... o forse quando i miei decisero di lasciarmi (finalmente) in pace.

Se scrivo su questo forum è evidente come tutti questi tentativi (benevoli o malevoli che fossero) di indirizzarmi alla normalità, tutti questi tentativi è evidente come siano miserevolmente falliti.
Già all'epoca, già da bambino, non facevo che viverli male: intanto perché mi costringevano a stare in mezzo agli altri, quando non era ciò che volevo; in secondo luogo li vivevo come una prevaricazione: avvertivo chiaramente il tentativo, come detto più sopra, di "programmarmi", di intervenire sulla mia natura, di modificarmi come fossi una macchina, una marionetta, un oggetto. Come se il mio parere, le mie inclinazioni non contassero niente.

È anche per questo che, ancora oggi, la socializzazione è qualcosa che mi manca, verbo "mancare" nel senso di "sentirsi privati di qualcosa che si desidera"; ma al contempo è qualcosa da cui fuggo volontariamente perché inguaribilmente caricata delle sfumature dell'imposizione; e la vita solitaria diventa così, anche oggi che vivo lontanissimo, nello spazio e nel tempo, dai miei genitori e dai giorni in cui, bambino, non potevo che obbedire, diventa una sorta di ribellione a quelle imposizioni, a quel tentativo costante di reintrodurmi nel gregge degli altri."

 

Da questo racconto è chiaro che spingere alla socializzazione non è la scelta migliore, come intervenire allora? La prima cosa da capire è la personalità del bambino e quali sono le motivazioni in gioco e quindi le cause di quel comportamento. Appare evidente che ci siano state delle fragilità che hanno impedito di socializzare.

Ad esempio un bambino sociofobico è diverso da un bambino introverso, nel primo caso c'è un bambino che ha iniziato un profilo evitante e quindi ha delle paure che tramite un aiuto possono essere superate, nel secondo caso c'è un bambino che ha già iniziato ad avere delle passioni e che desidera quindi focalizzarsi su di esse e quindi strategicamente è necessario trovare degli amici con le quale condividere quelle passioni, così che sia lui per primo a desiderare di avere la compagnia di qualcuno con cui poter portare avanti le proprie passioni.

Oppure c'è il caso di una persona che ha già iniziato ad essere emargianto a causa di un disadattamento sociale precoce causato dal fallimento educativo di genitori che non gli hanno spiegato le cose o gli hanno trasmesso un'educazione sociale inefficace e vecchia.

Ogni scenario è diverso e richiede interventi diversi, difficilmente un genitore è in grado di capire ed intervenire anzi in alcuni casi è il genitore stesso la causa di tale fenomeno.

 

Quando si cambia contesto ma i problemi restano la causa non è all'esterno ma all'interno:

"
Ultimamente ho avuto attacchi di panico e sto prendendo ansiolitici, ma l vero problema non è l'ansia, ma la continua depressione e la maleducazione delle persone nei miei confronti. Tra qualche mese compio 22 anni e ho avuto un'adolescenza infernale, sono stata esclusa sin dalle elementari solo perchè ero una bambina timida e chiusa (Per via di mio padre che aveva comportamenti molto bruschi con me), alle medie le mie compagne di classe avevano iniziato già a truccarsi e ad uscire, nessuno mi invitava alle feste, ai compleanni o comunque alle cene... Speravo, alla fine delle medie, di uscire da questa situazione una volta iniziato le superiori. Ma ahimè è andato sempre più peggio. Mi sono iscritta in un professionale per via del fatto che alle medie non avevo tanta voglia di studiare e quindi i miri prof. mi avevano indirizzata a questa scuola. Il primo anno mi sono ritrovata con 4 persone bocciate già 2 volte in classe, che mi hanno presa di mira. Mi attaccavano assorbenti dietro la schiena durante gli intervalli, mi lanciavano le biro, mi minacciavano di picchiarmi, mi seguivano fino alle fermate dell'autobus, erano giorni in cui speravo di non svegliarmi più il giorno dopo. Purtroppo non avevo amici e con la mia famiglia non avevo un buon rapporto da confidarmi a loro, mio padre come già detto era brusco e non capiva nulla. Quindi non ho detto nulla e ho subito fino alla seconda superiore, finché questi sono stati bocciati. Intanto avevo fatto amici virtuali sui forum e non mi staccavo più dal computer. A quei tempi mi hanno diagnosticato ipotiroidismo e continuavo ad ingrassare a vista d'occhio. Abitando poi in un paesino di provincia non avevo (E non ho) palestre, comunque uscivo per andare a correre o camminare. Poi sono iniziati gli insulti sul mio fisico, "Cicciona di merda", "Se dimagrissi saresti bellissima", "Ma perchè mangi tanto?" e tante altre cose che facevano stare male. Io intanto continuavo a mangiare... Mi sono un po' ripresa in 4 superiore, ero andata in vacanza dalle mie cugine e loro mi hanno dato una mano, ho iniziato a curarmi di più e la mia autostima si è un po' sollevata.

Ma ora credo arrivi il peggio, sono ormai una studentessa universitaria, studio una buona facoltà, tutti si congratulano con me etc. Ma io continuo a non riuscire a fare amicizie. I dottori mi dicono che se continuo a deprimermi così peggiorerò fisicamente, mi consigliano di farmi amici etc. Io non esco tanto perchè purtroppo nel mio paesino non c'è nulla e conosco già tutti, che sono poi quelli che alle medie mi prendevano in giro e quindi non ho voglia di guardarli in faccia. Da 2 anni circa ho iniziato a frequentare una biblioteca del paesino vicino al mio, ho attaccato bottone con un ragazzo, che mi sembrava anche simpatico... Dopo 3 volte di chiacchiere (Che sono durate nemmeno 5 minuti l'una) io gli ho detto, quel giorno in cui era raffreddato: "per fortuna che non mi ammalo facilmente", buttato lì tanto per conversare e ridere; lui a quel punto mi dice la frase che mi fa venire l'angoscia: "Eh, le persone che stanno sempre in casa non si ammalano", mi ha esplicitamente dato dell'asociale, quando nemmeno mi conosce come si deve... A quel punto ho pensato che forse ho interpretato male io e mi sono seduta a studiare di fianco a lui, a quel punto lui ha iniziato a fare la faccia schifata ogni volta che mi guardava, come se fosse disturbato dalla mia presenza (E vi giuro che mi lavo!).. Io mi sono sentita in imbarazzo ovviamente. Il giorno dopo per SICUREZZA, lui ha occupato con un libro il posto di fianco a lui, come per dirmi "Non sederti è occupato" e così come mi sono seduta da un'altra parte lui ha tolto il libro. Ci sono rimasta malissimo, perchè io non ho fatto nulla a nessuno.

Inoltre avevo scritto su FB ad un ragazzo sempre della biblioteca, per chiedere informazione sugli orari, sempre in modo gentile, mi ha risposto freddo e ora così come mi vede mi evita e mi prende per il culo insieme a quello che si schifava di me (Sono amici). In quella biblioteca purtroppo si conoscono tutti, essendo che sono dello stesso paese. Ma il mio problema è: perchè fanno tutti così? Io non mi ritengo una persona cattiva, sono sempre disponibile con tutti, ma ogni volta che provo ad attaccare bottone (Non sono in biblioteca, ma in tutti i casi) o mi prendono per il culo, oppure mi evitano. (Mi duole dire che hanno 24 anni) Inoltre non mi dicono le cose in faccia e purtroppo io non riesco a reagire. Mi dicono sempre di fregarmene, ma non ci riesco, non ce la faccio.. penso sempre alle cattiverie che mi fanno e continuo a farmi male psicologicamente.

Ci sarebbero tantissime cose da raccontare, ma credo già di aver scritto molto... Voi cosa fareste al mio posto? Spesso per colpa di questa situazione scoppio in crisi di pianto, che sia in casa che fuori, così dal nulla... il mio umore si trasforma subito in una depressione totale. "

 

APPUNTI:

A questo punto sorge la domanda "cosa potrebbe fare un genitore quando vede che il proprio figlio non riesce a socializzare o non desidera socializzare"?

ultima modifica il: 10-12-2019 - 16:23:26
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