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- Ignavo -
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Cos'è un ignavo?

(quando ti prende la voglia di piacere a tutti, cosa fare? Ricordarti che il senso stesso della vita è esporsi al mondo, per piacere a qualcuno, se cerchi di piacere a tutti hai già fallito.

Quando inizi a trovare persone a cui non piaci, ti stai esponendo abbastanza da trovare persone a cui potresti piacere

cosa pensi di vincere quando rinunci a qualcosa che ti piace per il giudizio degli altri? COsa pensi di aver raggiunto? Tu un giorno morirari e i tuoi giudici pure, ti sei tenuto delle persone "vicine" o comunque "non lontane" ma che hai ottenuto? Solo per la paura di cosa potrebbero farti? Paura di poter perdere con loro una possibile amicizia?

collegamento fra ignavia e vergogna)

Si definisce ignavo colui che per diversi motivi non esterna al mondo la sua reale natura, ma al contrario tenta di nasconderla attivamente.

Per natura si intende per comodità  di tutto, la propria fisicità, i propri gusti, il proprio pensiero. 

Se mi cerco di nascondere al giudizio degli altri sono ignavo, viceversa se mi espongo vengo definito assertivo.

Fra ignavia e assertività c'è una dimensione di mezzo che si potrebbe definire come anassertività, dove il soggetto non tenta di nascondere attivamente ciò che ha dentro ma nemmeno lo espone, ricordandoci che a volte è sufficiente non fare niente per non dare agli altri modo di capirci.

Detto in altri termini l'ignavo è colui che quando è solo si comporta in un modo ma quando è con gli altri nasconde questo suo essere per mostrarne uno di artificioso.

L'ignavia va intesa come un fenomeno comportamentale, il soggetto non si comporta spontaneamente, ma frena tutto ciò che potrebbe far vedere agli altri chi è. 

Ignavia e anassertività possono essere visti come due fenomeni che hanno le stesse cause e che riguardano in pratica lo stesso fenomeno anche se con due modalità differenti.

 

Si parla di autoaffermazione nel momento in cui il soggetto sceglie in modalità definitiva di non essere più ignavo, il soggetto punta esclusivamente ad un comportamento assertivo.

Questa distinzione è utile perché ci aiuta a capire che una persona nella sua vita alterna in momenti diversi e con persone diverse momenti di assertività, anassertività e ignavia.

Il momento dell'autoaffermazione è un momento in cui il soggetto sceglie di comportarsi con tutti e per sempre (con poche eccezioni) di essere quasi esclusivamente assertivo.

Ma l'ignavia perché avviene? Quali sono i moventi? Come accennato ad inizio articolo i moventi dell'ignavia sono prevalentemente due:

- il primo è per paura, cioè c'è una difesa in quanto il soggetto pensa che se gli altri scoprissero chi è attuerebbero dei pensieri o dei comportamenti che lo danneggerebbero, ha paura delle reazioni degli altri quando scoprono chi è, come si comporta, cosa ha dentro;

- il secondo è manipolatorio, il soggetto non mostra lati di sé perché pensa di averne un vantaggio. Pensate ad un soggetto che prima seduce e instaura un legame con un soggetto e solo dopo fa uscire fuori chi è realmente, questo perché il soggetto pensa che se lo facesse uscire fuori prima l'altro scapperebbe subito mentre una volta costruito il legame affettivo può fare leva su quello per tenere l'altro con sé nonostante tutto.

 

Il primo per comodità si può definire come ignavia difensiva, che usa una maschera per difendersi, il secondo si può definire ignavo manipolatore che usa una maschera per ingannare gli altri e avvantaggiarsene.

L'ignavo difensivo avverte un continuo conflitto interiore perché frena la sua spontaneità, non fa ciò che vorrebbe fare perché la paura degli altri e delle possibile conseguenze nell'essere "visto" è superiore.

L'ignavo manipolatore invece la vive diversamente, quasi con piacere, perché sa che quella maschera lo sta portando ad obiettivi che altrimenti non avrebbe potuto raggiungere.

QUesto secondo punto viene definito anche recitazione, il soggetto recita perché crede che comportandosi in quel modo raggiungerà i suoi obiettivi che invece essendo spontaneo non avrebbe raggiunto.

L'ignavia non va vista come qualcosa di statico, come un comportamento fisso specialmente quando si diventa abili.

L'ignavo va visto più come un camaleonte, in grado di modificare in base a chi si ha di fronte per massimizzare l'evitamento del pericolo o l'effetto manipolatorio.

 

L'ignavia difensiva solitamente si accompagna al comportamento evitante, il soggetto quando può fugge direttamente dall'evento sociale temuto, fugge dal fare, dall'essere ciò che vorrebbe essere.

 

 

Approfondiamo ora le tecniche dell'ignavia difensiva:

istrietismo, smetto di essere ciò che sono, di fare quello che vorrei fare o essere quello che vorrei essere perché ho paura delle conseguenze se agli altri non piacessi o mi vedessero come sbagliato. Metto una maschera che so essere apprezzata/approvata dall'altro o al limite una maschera che sia indifferente e invisibile agli altri così da impedire che ciò che sono, dico o penso possa arrivare ed essere percepita all'esterno. L'istrietico non pensa a ciò che vuole ma ad apparire in modo tale da evitare reazioni negative degli altri, mettendo una maschera perché teme che se fosse se stesso potrebbe ricevere conseguenze negative. Una delle tante maschere è quella camaleontica;

- accomodante, smetto di essere ciò che sono, di fare quello che vorrei fare o essere quello che vorrei essere perché se lo faccio l'altro poi potrebbe starci male e ho paura delle conseguenze. Faccio di tutto per far stare l'altro senza sofferenza, senza insoddisfazione, per metterlo comodo, per impedire che con me stia male. Non devo aspettare che l'altro mi dica qualcosa o ci sia una richiesta specifica, perché se l'altro sta male (specialmente se a causa mia) potrebbe comportarsi negativamente con me e io temo tale scenario. Il soggetto quindi si prodiga per risolvere problemi dell'altro, aiutarlo, fare di tutto affinché l'altro sia comodo e senza sofferenza e in tutto questo non può essere se stesso dato che si concentra sull'altro, se è impegnato a "fare per l'altro" non ha tempo per essere se stesso;

- accondiscendente, smetto di essere ciò che sono, di fare quello che vorrei fare o essere quello che vorrei essere perché l'altro mi ha chiesto una cosa e io devo fare quella cosa, quando c'è la richiesta la assecondo se no l'altro soffre, ci resta male e ne temo le conseguenze;

- accompiacente, smetto di essere ciò che sono per dare piacere all'altro, per paura di quello che potrebbe accadere se non lo facessi;

- corazza, mi costruisco una realtà di comodo a cui finisco per credere pur di non fare i conti con la realtà, smetto di essere ciò che sono, di conoscermi e nemmeno me ne accorgo convincendomi che io sia altro. Qui il soggetto non riesce più a capire o distinguere la sua reale identità da ciò che è la maschera sociale, differenzia l'identità dalla persona, finendo per usare una regola di costume per gli altri come comportamento da usare anche per sé o sempre, questo accade ad esempio in educazioni oppressive che fin dal primo respiro hanno spinto il soggetto a vivere in modo da accompiacere agli altri, da non ferirli, etc...;

- acconsenziente, 

- evitamento/zona di comfort, si evita la situazione in toto o parte di essa.

 

Il paradosso dell'ignavia nella compatibilità, il soggetto essendo ignavo e non se stesso non fa emergere all'inizio dell'interazione con l'altro un'eventuale incompatibilità. Questo porta a produrre un legame, un affezionamento e facendo esplodere una bomba in seguito, quando il soggetto sarà abbastanza sicuro da far uscire chi è realmente.

La bomba esplode perché non si potrà essere ignavi per sempre, a volte qualcosa si autoaffermerà e/o l'altro prima o poi farà i conti e capirà chi siamo, l'incompatibilità prima o poi emergerà e  quando accadrà sarà anche difficile lasciarsi.

 

Discorsi di un ignavo:

Tutte le persone hanno dei momenti in cui sono preoccupate per qualcosa: è una cosa che mi dispiace molto. Quando sento qualcuno di caro preoccupato in qualche modo, penso sempre
class="quoteBody"> 
class="quoteBody">Cosa posso fare per rasserenarlo?

In caso di amicizie, il problema è facilmente risolvibile: un regalo, in genere, fa piacere e - per quanto non risolva il problema - fa sentire la vicinanza. 
Altre volte, però, le cose non stanno così e mi sembra che debba modificare il mio modus vivendi per rasserenare gli altri. E' successo con i colleghi: quando qualcuno va in ansia, per me è meglio dargli retta, perché limito il suo attacco non facendomi contagiare da questo stato d'animo.
In famiglia, la cosa è diversa (infatti non sapevo se metterlo nella sezione apposita, ma il discorso è generale): l'unico modo per vivere serenamente (almeno, per me) è fare in modo di tranquillizzare i miei parenti. In che modo? Fare ciò che mi consigliano, per non farmi contagiare.

Questa cosa ha pro e contro: limito l'attacco d'ansia momentaneo (sia mio che altrui), ma so bene che - presto o tardi - si manifesterà una nuova occasione in cui dovrò ricorrere a questo stratagemma per sventare l'attacco ansioso. 
A lungo termine, però, non posso dire di essere felice: mi sento come se - adottando questo sistema - avessi voluto vivere la vita altrui. Non solo quella dei miei genitori, ovviamente, ma un pezzetto piccolo piccolo della vita degli altri. 
Ora conosco i due problemi: 
1. Non devo farmi prendere dall'ansia altrui
2. Devo trovare un modo per contrastare l'ansia altrui, diverso da quello che ho adottato finora. 
Il limite mi sembra palese: non mi sento libero di vivere la mia vita.
 

class="messageTitle"> 

class="messageBody">
Il problema è che noi ansiosi (così tiro dentro anche me stesso) durante un attacco non ragioniamo e/o la nostra capacità di giudizio è molto limitata dall'attacco stesso. 
Rispetto, comprensione e compassione - in quei momenti - vengono meno, nel senso che non sono nemmeno presi in considerazione dall'ansioso. Tutti noi dobbiamo ragionare con altri che sono momentaneamente privi di queste "caratteristiche".
Non dico che sia una prova scientifica (perché non sono uno scienziato), ma proprio sulle pagine di class="externalURL" href="http://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/disturbi-e-patologie/cosa-intendiamo-per-attacco-di-panico/8791/">questo sito si fa una bella (si fa per dire) descrizione dell'ansia. Riporto un passaggio per me fondamentale
class="quoteBody">L’ansia deriva da un meccanismo fisiologico assolutamente normale che i nostri antenati utilizzavano per affrontare una situazione di minaccia, chiamato risposta di attacco-fuga.

Quindi l'ansioso si sente in qualche modo minacciato...e come si fa a far capire che l'ansioso non è minacciato dal nostro comportamento, considerando che si tratta di un meccanismo fisiologico? Sarebbe come obbligare chiunque a trattenere gli sfinteri a tempo indeterminato.
 
non riesco a fregarmene del malessere altrui. Cerco sempre il modo di rendere felice gli altri, pensando (forse) che così sarò felice anche io.
 

Pur non essendo Testimone di Geova, ho deciso di intitolare questo thread come una class="externalURL" href="https://it.wikipedia.org/wiki/Schiavo_fedele_e_saggio">locuzione spesso usata da questo movimento religioso per descrivere perché e percome NON posso affrancarmi dai miei genitori, ma è meglio partire da un antefatto che ha una data precisa: il 3 agosto 2017, data di nascita di mia nipote. 
Da allora, in parte perché lo vogliono i miei genitori, in parte su richiesta di mio fratello e/o mia cognata, una volta ogni 2 settimane (circa) mia madre prende il treno da Sondrio, raggiunge Milano e trascorre un paio di giorni per vedere la nipote e aiutare nelle faccende domestiche. 
La cosa potrebbe sembrare bellissima, ma la faccenda ha influssi (negativi) anche sulla mia vita. Come forse avrò già detto, io e mio fratello abitiamo a 200 metri di distanza l'uno dall'altro. A livello logico, è normale che mia madre - pertanto - venga a dormire da me quando viene a Milano per "fare la nonna", ovvero badare alla nipote. 
A livello pratico, mi sento (molto) usato perché la decisione di venire a Milano è presa autonomamente da mia madre o in accordo con la famiglia di mio fratello senza che io - lo zio single - venga interpellato prima. Essendo abituato a vivere/dormire da solo (con - ovviamente - le mie abitudini), trovo sempre abbastanza pesante psicologicamente la presenza di mia madre in casa: l'ordine è solo come vuole lei. La cosa è resa ancor più pesante dall'ansia di mia madre: è logico che quando mia madre è a Milano mangiamo tutti insieme da mio fratello, ma poi devo aspettare che lei finisca di rassettare casa come vuole lei perché ha paura di fare duecento metri a piedi. Non vi dico, poi, come mi senta di umore quando mia madre è in ansia: è come se volesse scaricare sul prossimo il suo stato d'animo, ma lo fa con rabbia (basta un niente per farla scattare).
Io non posso dire nulla, perché la urterebbe, non risolverei la questione (anzi, la peggiorerei perché mi troverei contro tutta la famiglia) e mi accuserebbero di essere il più classico dei figli degeneri. 
Per questo mi sento uno schiavo fedele e discreto: è la prima volta che riesco a parlare apertamente di quanto sia disagevole questa situazione per me. 
Non pensate che non abbia provato a parlarne con mia madre. La sua risposta mi ha raggelato: "In fin dei conti, si tratta di una volta ogni tanto...e cosa vuoi fare, mandarmi in albergo?". 
Ne ho parlato ieri con la terapeuta: dice che dovrei "ribellarmi" in modo pacato, cioè far capire a mia madre che la sua presenza dovrebbe quantomeno essere condivisa con me in modo che io possa dire si o no, a seconda dei miei impegni. Una cosa del genere, però, farebbe scattare la sua risposta raggelante, perché a lei tutto è dovuto.
Stamattina, venendo in ufficio, stavo pensando di mollare la terapia; non posso cambiare il modus vivendi dei miei genitori e non riesco ad emanciparmi emotivamente da loro...l'unica soluzione è tornare ad essere lo schiavo fedele e discreto...e pazienza se starò male, perché io - per loro - non ho diritti."
 
"Tutti mi riconoscono come una persona gentile, su cui si può sempre contare, che non dice mai di no quando gli si chiede qualcosa e non si arrabbia mai. Per questo sono molto apprezzato negli ambienti dove vivo e lavoro e ho buoni rapporti con tutti. Ma è solo una maschera che indosso per convivere con gli altri. Per carità, un po' lo facciamo tutti, aneliamo tutti o quasi al quieto vivere. Ma io esagero, davvero: anche quando qualcuno mi fa un torto o una mancanza piuttosto grave di rispetto non mi arrabbio mai.
Sto aspirando alla santità? No, esiste una ragione molto più banale. Non mi faccio valere perché sono un debole. Per tutta la vita mi sono ritrovato a non avere mai il coltello dalla parte del manico. Non l'ho avuta con i genitori, con gli insegnanti, con i capi, e questo purtroppo fa parte della vita, non sono un ribelle. Ma mi sono sempre sentito debole anche fra quelli che dovrebbero essere i miei pari. Da bambino tutti, perfino le ragazze, mi sovrastavano per forza fisica; e oggi, sono circondato da persone che hanno avuto un percorso di vita più regolare del mio, sono molto integrate fra loro, mentre io sono un totale sbandato e un emarginato sociale.
Inutile dire che i rapporti che stringo, per quanto cordiali, sono falsi come una moneta da tre euro. Non mi piace il ruolo a cui sono stato relegato, quello del bravo bambino, dello zerbino; ma so che, se mi comportassi diversamente, le facce sorridenti che ho intorno sparirebbero all'istante e mi ritroverei espulso dalla società fra pianto e stridor di denti. Ho un sogno notturno ricorrente, sono un ragazzino in mezzo a una comitiva di miei coetanei, a un certo punto loro iniziano a provocarmi verbalmente e io, a sorpresa, reagisco con parole altrettanto dure. Loro allora iniziano a ghignare e a dire cose come "che dici se ti diamo una scarica di pugni?" o "ce li facciamo 12 anni di carcere per eliminare questo c*****ne?" al che mi sveglio sempre spaventato a morte.
Per questo, io sono un falso amico, quello che viene definito un passivo aggressivo. Sono troppo vigliacco per far valere le mie ragioni, se qualcuno mi chiede di fare qualcosa che non voglio non ho il coraggio di rifiutare, la faccio ma cerco di nascosto di sabotarla, di farla venire fuori una schifezza. A volte mi metto anche a complottare o ad assumere comportamenti manipolativi. Così facendo, però, accumulo parecchia rabbia repressa.
La rabbia la scarico nelle mie fantasie a occhi aperti, in cui sono più forte di chi mi sta intorno e posso liberare la mia rabbia sugli altri, che non descrivo per non urtare la sensibilità degli altri utenti. Posso solo dirvi che diventano sempre più sadiche e violente, mi capita spesso che sopraggiungano quando sono in palestra e mi caricano di adrenalina, riesco sempre a raggiungere risultati per me impensabili. Poi però torno quello di sempre, falsamente disponibile. Mi sento pronto all'esplosione."
 

Si legga autoaffermazione per approfondire.

 

Nell'ignavia non ci può essere l'autenticità ma sopratutto muore la creatività, il soggetto è focalizzato sul difendersi e non ha modo di sperimentare, creare qualcosa di originale, etc...

 

L'ignavia temporale

"Prima avevo una visione abbastanza buona del futuro, frequentavo amici e ragazze, avevo la fidanzata, andavo alle feste ed era quasi tutto nella norma.
Ma da quando ho superato i 25 anni è scattato come qualcosa dentro di me che ogni giorno mi attanaglia, non faccio altro che pensare che sto per fare i 30 anni, che non ho più l'età per fare certe cose."

 

Ignavia selettiva

Avere dei rapporti autentici nonostante il soggetto non riesca ad autoaffermarsi con tutti.

 

Le persone chiamano erroneamente l'ignavia accondiscendenza:

"Sono una ragazza di 26 anni e da sempre ho un carattere molto timido e chiuso e questo mi ha sempre provocato difficoltà nello stare al centro dell'attenzione, a rapportarmi con persone che non conosco e soprattutto a far venire fuori il mio carattere. Sapendo di avere tutti questi limiti nel rapportarmi con gli altri sono diventata molto insicura e non ho mai sviluppato una gran autostima.
Da qui (penso) deriva uno dei lati del mio carattere che più mi infastidisce ma che allo stesso tempo non so come gestire. Quando mi rapporto con una persona (fidanzato o amici) ho un carattere fortemente accondiscendente. Non riesco a litigare, a lamentarmi, ad incazzarmi perchè un comportamento o una frase dell'altra persona non mi sta bene perchè ho il terrore che una discussione possa compromettere il rapporto, ho paura che le sue parole mi possano ferire, ho paura che possa cambiare idea su di me. In altre parole non riesco a vedere le discussioni come qualcosa di positivo, forse anche perchè in casa non ho mai avuto esempi di litigi costruttivi, fatto sta che le evito come la peste perchè penso che portino all'inesorabile fine di una relazione e da qui il terrore di rimanere da sola e perdere la persona che ho al mio fianco.
Purtroppo mi rendo conto che così facendo la relazione non va avanti, e me ne sono resa conto soprattutto dopo che il mio ex ha chiuso con me (20 giorni fa) dopo circa un anno di relazione. A mente fredda ho ripensato al rapporto che avevamo e mi sono accorta di non essere stata d'accordo con lui a volte ma di non averglielo mai detto, non gli ho mai detto cosa volevo da una relazione per evitare di risultare troppo pesante o troppo impegnativa, non mi sono mai mostrata dispiaciuta o infastidita se una volta usciva con i suoi amici invece che con me...anche quando abbiamo parlato l'ultima volta mi ha detto che l'unica cosa che ha da rimproverarmi è di essere stata troppo buona (e me lo sono sentita dire un sacco di volte...e non ne posso più).
Insomma penso che in molte occasioni stare di fianco a me sia stato per lui come stare di fianco a un manichino, o comunque non penso che in questo modo due persone possano sentire di costruire qualcosa.
Il non riuscire ad esprimere il mio disappunto o la mia rabbia nelle situazioni in cui è giusto farlo mi fa arrabbiare tantissimo con me stessa e mi fa sentire veramente una stupida. Per questo volevo chiedervi consigli su come riuscire a superare questo blocco e come vivete voi il momento del litigio con il vostro compagno (o qualsiasi altra persona)."

 

Questo racconto ci evidenzia come per assurdo nascondersi per evitare problemi porti anche a non piacere, a non costruire, chi si autoafferma capisce che esporsi, affermarsi, asserire chi si è porta a vincere il gioco della vita perché per quante possiamo perdere, arriveremo comunque a conquistarne qualcuna.

L'ignavo e l'anassertivo invece anche se non litigano con nessuno, non rischiano, non fanno nulla per portare gli altri in generale ad avercela con loro finiscono per risultare insipidi, per non avere valori che qualcuno possa afferrare e sentirsi attratto.

 

APPUNTI:

(il contrario di ignavo è spregiudicato?

 

la differenza fra maschera e corazza)

 

la zona d'ombra fra ignavia e autoaffermazione, 

 

"L'altro giorno mi è successa una cosa e, in quella circostanza, ho capito che la paura del conflitto è ed è sempre stata il mio più grande problema: se per me il conflitto non fosse così stressante e doloroso non avrei i problemi che ho a socializzare: il rapporto con gli altri implica necessariamente il conflitto. Lungi da me capire perché le cose stiano così: forse sono troppo sensibile, troppo fragile psicologicamente dal momento che un qualsiasi attacco o insulto mi venga rivolto mia causa un dolore atroce. Oppure non so. 
In ogni caso, dopo che ho realizzato ciò, mi sono ritornate alla mente delle frasi: «Secondo me Fallen prima o poi scoppia e fa qualche cazzata» oppure «Fallen sei un ignavo, c'è un girone all'inferno per te». Ho anche capito che non avrei subito bullismo e mi sarei fatto rispettare da tutte le persone che si sono approfittate di me (ovvero, non per fare la vittima, la maggioranza). Quando l'ho capito mi sono sentito ridicolo: ho sempre dato la colpa delle mie disgrazie agli altri -che sono comunque colpevoli, ma la responsabilità non è soltanto loro- senza guardarmi allo specchio. Parallelamente mi sono anche chiesto se avessi un ritardo mentale dato che ci ho messo vent'anni per comprendere questa cazzata. Oppure se avessi il cervello completamente andato, visto che sono in isolamento da quando ho sedici anni e, da allora, soffro di depressione.
Comunque ho scritto il thread per sapere se c'è qualcuno che ha il mio stesso problema e , se sì, come lo ha o sta affrontando?"

 DA RISCRIVERE

 

(la creatività soffocata sotto la corazza, la persona per 

Da riscrivere.

L'etimologia del termine richiama l'essere attivi, in questo caso l'ignavo è colui che non agisce, non prende posizione, non fa perché ha paura di quello che potrebbe succedere immediatamente o nel lungo periodo a causa di quelle azioni, quello che ne potrebbe conseguire.

L'ignavia è una specifica forma di inibizione, dove il soggetto è in lotta fra quello che vuole fare e la paura delle conseguenze, si è ignavi quando la paura vince e si piomba nell'inazione.

Non è ignavo chi non fa nulla perché non vuole farlo, questo punto è fondamentale perché si potrebbe dare dell'ignavo a qualcuno che non fa nulla in qualcosa solo perché, da esterni, si pensa che invece dovrebbe farlo.

Una persona che vuole fare l'università ma non prenderà mai una posizione a riguardo, rimane nell'inazione, sarà ignava. Una persona che dopo il diploma non si iscrive all'università, non fa nulla e si prende un anno sabatico solo perché non sa cosa fare, non ha un obiettivo non è un ignavo, è solo una persona che per diverse cause momentaneamente non ha una strada da seguire, non ha nessuna paura che la frena.

L'ignavia invece, analizzata dal punto di vista interno, analizza come il soggetto perda la vita, non viva, perché aveva una voglia, aveva un obiettivo che non è riuscito a compiere per paura di quello che sarebbe potuto succedere, ad esempio perché poteva sbagliare oppure perché qualcuno poteva capire qualcosa di lui, poteva capire come la pensava, etc...

Probabilmente l'ignavia è la forma più significativa e diffusa dell'inibizione, che ha il più alto impatto a livello esistenziale.

La vita è fare quello che vogliamo, viverla corrisponde a seguire i nostri obiettivi, scorrere quelle esperienze in cui noi siamo i protagonisti, ma se per paura non agiamo, ecco che non viviamo e quanto più questo accade quanta più vita perdiamo.

Un ignavo totale non esiste, ma troviamo persone che non lo fanno quasi per nulla a persone che lo fanno frequentemente ed è facile capire quanto una persona stia vivendo della sua vita.

Fallire significa comunque vivere, il fallimento vuol dire averci provato, essersi messi in gioco e da questo il soggetto potrà trarne vantaggio per il futuro, per migliorare il tiro o cambiare obiettivo, in ogni caso ha fatto un passo in avanti.

Questo punto è chiaro perché ci fa comprendere che l'ignavia frequente potrebbe trarre la sua origine in un soggetto che non ha sviluppato le basi per migliorare nell'errore e nel fallimento, che non è stato in grado di trasformare quell'esperienza in qualcosa che ha il sapore della vita e migliora la vita, rimanendo impantanato negli stessi errori, in uno schema mentale rigido e chiuso che l'ha portato dopo un po' a dire "ma chi me lo fa fare, evito e basta".

 

Quali sono le cause più comuni dell'ignavia. Farsi scoprire, il soggetto ha paura che agendo gli altri sappiano chi è, come la pensa, quante cose non sa, quanto puà sbagliare, più si è sensibili al giudzio dell'altro, più fare lo espone a rischi in tal senso. Dalla scoperta poi nasce anche la possibilità di scontro o perdita, la paura della reazione dell'altro quando ci conosce chiaramente, ad esempio dire "sono di destra" espone al rischio di diverbio con persone di sinistra.

L'ignavo in qualche modo ha paura di quello che vuole fare perché farlo corrisponde ad esporsi a quelli che percepisce come rischi, e questi rischi lo frenano al punto da non farlo agire.

 

L'ignavo potrebbe dissimulare per non far rendere conto all'altro di essere scaduto in un'inazione, facendo altro, mettendosi da fare per altri obiettivi ma il fatto che altri non se ne accorgano non vuol dire che non sia avvenuto.

 

Non ci può essere un'esistenza autentica senza un'autoaffermazione, non c'è giustificazione che tenga.

 

Un racconto dal web:

"Fin da quando ero piccola, più o meno, sono sempre stata una persona passiva: nel senso, lasciavo sempre che fossero gli altri a risolvere cose, a proporre e a mobilitare, e ogni volta che provavo io a fare queste cose, i risultati erano quasi sempre a dir poco... non belli!
Per questo evito di prendere certe iniziative, perché so già che anche se ci provassi, 99 su 100 fallirei.
E qualcuno potrebbe dire: "Beh, dai, il fallimento fa parte della vita!", si, è vero! Ma quando la tua vita è costellata quasi esclusivamente di fallimenti, allora meglio non provarci neanche, se tanto sai già che non vincerai!
Infatti io, piuttosto che subire l'ennesimo fallimento, preferirei rimanere ferma, mantenendo quella poca dignità che mi rimane.
Quanti altri si sentono così?"

 

Questo racconto è utile perché non solo ci fa capire come un ignavo non viva, il soggetto ha smesso di fare quello che vuole ma ci racconta anche di quel caso in cui il soggetto è rimasto impantanato nell'errore e fallimento, ha una personalità talmente disastrata e priva di fondamenta che non ne ha tratto alcun miglioramento e quindi l'ignavia è divenuta un tratto radicato, quasi "voluto", giustificato agli occhi del soggetto.

 

 

La perdita

C'è un cartello con scritto "non sei capace"nella mia vita.
Qualcuno l'ha messo lí quando ero piccola.
Per tutta la vita ho rinforzato questa frase,come se l'avessi ripassata con un pennarello.Di volta in volta,di fallimento in fallimento.
La fobia è un sintomo.
Ho paura perchè non voglio fallire e di conseguenza non faccio le cose.Farle e fallirle (o percepirle fallimentari)mi butta a terra,non vivo la situazione presente ma rinforzo tutte quelle passate.
Non è che non faccio per apatia o depressione.A me fare costa,il rischio è alto.Anche perchè portare a casa successi è faticoso.
Per questo evito,scappo in fretta dai posti di lavoro,non intraprendo attività.Se io decido di andare a camminare ogni giorno,per 5giorni ce la faccio e il sesto mi viene un attacco di cagotto e devo correre a casa penserò "ecco. sono una merda,non riesco neanche a camminare.
Fare è un rischio.
Per non far vedere agli altri e a me stessa che fallisco,non faccio,se sono obbligata a fare scappo in fretta, prima che capiti.

"-Cos'hai da perdere?"
Ho molto da perdere.

 

aPPUNTI: 

Indicatori di ignavia nei rapporti sono confermare quello che dicono gli altri e non esprimere la propria opinione o punto di vista in merito anche se differente.

ultima modifica il: 09-08-2019 - 12:28:06
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